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Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2011 alle ore 06:38.
NEW YORK - Barack Obama pater familias. È questo il grande mantello che il presidente americano indosserà domani notte quando pronuncerà in parlamento, solennemente riunito in seduta congiunta, il suo terzo discorso sullo stato dell'Unione. Non lo dirà esplicitamente, ma nelle ultime settimane, sia per la sua opera di mediazione politica che per la tragedia che ha colpito l'America con la sparatoria di Tucson, in Arizona, il presidente si è accorto di quanto il paese cerchi nella presidenza una figura istituzionale che si ponga al di sopra delle parti, che smorzi il tono delle polemiche, che faccia la cosa giusta, la cosa "saggia".
È da quando ha perso malamente le elezioni di novembre che Obama ha cominciato la sua metamorfosi. Da politico d'assalto partigiano, sempre pronto a difendere le istanze della sinistra del partito democratico che controllava il Congresso, ha scelto il ruolo, che gli è certo anche più naturalmente congeniale, del grande mediatore, del presidente pronto a occuparsi soprattutto del bene della nazione nel suo insieme. Non è stata una metamorfosi improvvisata.
Durante le sue vacanze alle Hawaii il presidente si è letto la biografia di Ronald Reaganscritta da Lou Cannon, corrispondente dalla Casa Bianca per il Washington Post, che seguì tutta la presidenza del leggendario "Gipper". Reagan era un ex attore, non era forse preparato nel dettaglio su alcune delle tematiche chiave, ma aveva stabilito uno straordinario rapporto con il pubblico: era un presidente amato. Obama, dopo due anni di battaglie feroci su sanità e regole finanziare e dopo una campagna elettorale al vetriolo, si è reso conto che in nome della difesa delle sue promesse elettorali si era in qualche modo stretto nell'angolo della posizione sempre di parte. E soprattutto sulla sanità la maggioranza del paese non era necessariamnete pronta a seguirlo.
Questo al di là delle vittorie della maggioranza che è sempre riuscito a cavalcare in parlamento. E dunque, alla prima occasione, quando si è trattato di prolungare i tagli fiscali di Bush che sarebbero scaduti il 1° gennaio di quest'anno, il presidente non ha esitato a rinunciare ad alcune sue richieste fino al giorno prima «irrinunciabili». Per esempio, quella di tassare i più ricchi o in modo più pesante le eredità. Obama ha aperto il dialogo ed è riuscito sia sul fronte delle tasse che su quello del disarmo con la Russia a mettere insieme la prima maggioranza davvero bipartisan degli ultimi due anni.