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Obama 2.0 torna alle origini, ma ora abbracci la rivolta democratica in medio oriente

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2011 alle ore 09:17.
L'ultima modifica è del 26 gennaio 2011 alle ore 12:22.

Il secondo discorso sullo Stato dell'Unione, pronunciato ieri notte da Barack Obama, ha confermato l'aspetto pragmatico della sua filosofia politica. Gli analisti parlano di svolta al centro, d'inedito approccio moderato, d'inesorabile passo verso la costruzione di un nuovo Obama. In realtà l'Obama 2.0 è identico all'Obama delle origini. Quello scoperto sul palco della Convention democratica di Boston sei anni fa, e ammirato nella campagna elettorale del 2008, era un Obama che si appellava all'unità del paese, che cercava un terreno comune, che provava a chiudere l'eterna guerra culturale americana.

Nè estremista, nè uomo pronto a compromessi
Obama non è un pericoloso estremista, come urlano i suoi avversari conservatori. Non è nemmeno un uomo pronto a ogni compromesso, come sospettano i suoi critici liberal. Obama non è né l'uno né l'altro. O, magari, è sia l'uno sia l'altro, ma nessuno, forse nemmeno lui, è mai stato capace di etichettarlo. Questa sua imprevedibilità, questo suo sfuggire alle categorie tradizionali, questo aspetto no label, difficile da inquadrare, è stata la novità dirompente della sua formidabile traiettoria personale e politica. Nel primo anno alla Casa Bianca, per errori suoi e per bravura degli avversari, Obama ha perso il consenso dei moderati e degli indipendenti. Nel secondo anno, per cercare di mettere una toppa, ha perso il sostegno dei suoi. Il terzo anno sembra quello del rilancio. Le parole scelte per commemorare le vittime della folle strage di Tucson hanno consolidato l'immagine originaria di Obama quale guaritore supremo delle ferite ideologiche del paese. Sul fronte interno, il pragmatismo e lo spirito bipartisan hanno pagato. I sondaggi sono in forte risalita e molti parlamentari hanno deciso di ascoltare il discorso del presidente seduti accanto ai colleghi del partito avversario, invece che rigidamente divisi tra destra e sinistra.

Il leader del mondo libero ha l'obbligo di far sognare
Il leader del mondo libero però non può limitarsi alla semplice amministrazione, ma ha l'obbligo di far sognare, di guidare la comunità globale delle democrazie, di far risplendere come un faro di libertà quella «città illuminata sopra collina» di cui parlava Ronald Reagan citando il terzo governatore del Massachusetts John Winthrop (1630). Alexis de Tocqueville aveva individuato in alcune caratteristiche dell'esperienza americana – libertà, individualismo, uguaglianza, populismo, libero commercio – l'eccezionalità di un paese rivoluzionario. Un sondaggio Gallup di dicembre conferma che l'80% degli americani crede ancora oggi che gli Stati Uniti abbiano un carattere unico che li rende il miglior paese del mondo. Obama non può sottrarsi a questo aspetto del carattere della sua nazione, all'eccezionalismo americano. Come per Abramo Lincoln e George W. Bush, anche per lui l'America è l'ultima grande speranza dell'uomo su questa Terra.

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Obama ha inaugurato una politica estera meno idealista
Alla Casa Bianca, Obama ha inaugurato una politica estera meno idealista, una via di mezzo tra la diffidenza storica che una parte della sinistra ha sempre avuto per l'interventismo americano e un corso accelerato di Realpolitik da destra repubblicana. La politica di engagement con i regimi ostili e dispotici non ha funzionato. La rivolta democratica in Tunisia è il penultimo esempio. L'ultimissimo è la ribellione anti-Mubarak in Egitto. Ma in fibrillazione ci sono anche la Libia, il Libano e chissà quanti altri, in un clamoroso effetto-domino democratico che va dall'Eufrate al Maghreb.
L'America e l'Europa post Bush e post Blair appaiono lenti a riconoscere le ragioni dei manifestanti democratici in Medio Oriente. La necessità di allontanarsi dalle politiche radioattive di Bush e Blair ha costretto America ed Europa a mantenere rapporti troppo stretti con i carcerieri del mondo. Ai tempi della Guerra Fredda, una delle intuizioni vincenti di Reagan, oltre a non cedere di un millimetro sui principi, è stata quella di far sapere ai dissidenti comunisti, ai militanti democratici, agli oppositori del regime sovietico che l'America stava dalla loro parte. L'America era la città sopra la collina. La speranza di un domani migliore. La certezza che non sarebbero rimasti soli.

Più attenzione ai diritti umani Arabia Saudita ed Egitto
Obama bacchetta gli alleati democratici quando non esprimono al cento per cento i valori liberali accettati a Washington, ma non spende una parola contro le quotidiane violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita e in Egitto, paesi che dipendono finanziariamente, militarmente e politicamente da Washington. Le sanzioni all'Iran degli ayatollah atomici, faticosamente ottenute dopo mesi di trattative internazionali, pare stiano avendo un buon impatto. Ma l'obiettivo dell'embargo non è far vivere peggio gli iraniani. Le sanzioni avrebbero dovuto costringere gli iraniani a siglare un accordo sul nucleare. Ma non è successo, tanto che gli iraniani nel weekend scorso hanno ancora una volta rifiutato di prendere in considerazione l'ipotesi di negoziare.

Freedom agenda e lotta contro i regimi autoritari
Obama dovrebbe riabbracciare la Freedom agenda, promuovere la democrazia, battersi per cambiare i regimi autoritari, schierare l'America con i movimenti democratici, dalla Tunisia all'Iran, sostenere i governi liberali in difficoltà come la Colombia, invece di negargli il trattato di libero scambio per ragioni di politica interna. Cercare di portare alla ragionevolezza chi ragionevole non è non può essere considerata una politica saggia né pragmatica né realista.

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