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Questo articolo è stato pubblicato il 25 gennaio 2011 alle ore 06:36.
ROMA
La crisi economica internazionale ha smascherato tutte le difficoltà della politica di coesione, ha messo in luce l'efficacia limitata del sistema dei fondi distribuiti ai paesi membri per ridurre gli squilibri territoriali. Un'occasione in più per rimettere tutto in discussione e riformare. La commissione europea è partita da qui per mettere a punto la quinta relazione sulla coesione economica che oggi sarà presentata alla Camera dal commissario per la politica regionale Johannes Hahn alla presenza del ministro per i rapporti con le regioni Raffaele Fitto.
Gli stati membri hanno tempo fino a lunedì prossimo per presentare il proprio parere: l'Italia ha appena definito il testo e lo ha sottoposto alle osservazioni di regioni, enti locali e del partenariato economico-sociale. Spicca il no alla proposta dell'Unione europea di cambiare a partire dal prossimo ciclo di programmazione, quindi dopo il 2013, l'attuale architettura finanziaria della politica di coesione.
Attualmente il sostegno alle regioni è differenziato in base al loro livello di sviluppo economico (misurato in Pil pro capite). Per attenuare la cesura tra queste due categorie, la commissione propone di introdurne una terza intermedia in cui confluirebbero anche regioni attualmente beneficiarie del programma in funzione dell'obiettivo "convergenza", ma il cui Pil pro capite risulterebbe maggiore del 75% rispetto alla media comunitaria delle ultime statistiche. Per le regioni dell'Italia meridionale l'impatto sarebbe solo indiretto, ma ugualmente pesante. In base alle proiezioni di diversi centri studi, infatti, le nostre regioni resterebbero comunque sotto la soglia del 75% e quindi nell'obiettivo "convergenza", ma la creazione di una nuova categoria, in cui potrebbero entrare regioni di altri stati (forse tedesche o spagnole), finirebbe per aumentare il numero di quote in cui dividere l'ammontare di risorse complessivo. Insomma, alla fine l'Italia potrebbe avere solo da rimetterci.
Non a caso nel suo parere, preparato dal dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (Dps), il governo scrive: «Le regoli attuali di eleggibilità dei territori e di allocazione delle risorse, che assicurano la concentrazione delle risorse sulle regioni più arretrate, vanno mantenute». Solo «nelle dotazioni assegnate a ciascuno Stato membro a titolo di ciascuno obiettivo – sottolinea l'Italia – ogni paese potrà trovare le migliori chiavi di ripartizione delle risorse per assicurare che le regioni possano essere sostenute in modo adeguato rispetto alle diverse condizioni di contesto».