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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 07:37.
Intercettato dai giornalisti nel rapido passaggio del corridoio che porta dall'aula di Montecitorio agli uffici del governo, Silvio Berlusconi continuando a camminare risponde: «Non ho nulla da dire, è scandaloso». La domanda (scontata) è sulle nuove carte del Ruby-gate giunte alla Camera. Non è una sorpresa. Il premier e i suoi legali, così come lo stato maggiore del partito, si attendevano il nuovo "regalo" della procura di Milano.
La parola d'ordine resta sempre la stessa: «minimizzare». «Di cose complicate nella vita ne ho viste tantissime e ne sono sempre uscito benissimo», aveva detto poco prima Berlusconi durante la conferenza stampa tenuta a Palazzo Chigi sull'Expo. Un ottimismo che deriva da tre convinzioni del premier: la debolezza dell'opposizione, confermata dal voto di ieri, l'assenza di una alternativa praticabile e la solidità dell'alleanza con Bossi. Il leader della Lega anche ieri si è schierato con il Cavaliere. Come Berlusconi è convinto che «la bufera» del caso Ruby «passerà». «Scartoffie» le nuove carte della procura per il Senatur.
Berlusconi però non può permettersi di rimanere fermo. È vero che ieri alla Camera ha messo a segno un altro punto a suo favore ma i deputati su cui può contare continuano a essere fermi a quota 314, meno della maggioranza assoluta. Durante il voto Berlusconi ha ricevuto diversi esponenti dei "partitini" satelliti che sostengono il suo governo. Tutti continuano ad assicurargli «imminenti nuovi arrivi dalle fila dell'opposizione», forse anche per ottenere in cambio qualche posto ancora vacante nell'esecutivo. Ma il rischio logoramento, per un premier e un governo costretti a concentrarsi sulle feste di Arcore è tutt'altro che scongiurato. «Dobbiamo far capire agli italiani che stiamo lavorando», ha ripetuto l'altra sera durante il vertice tenuto con lo stato maggiore del partito a Palazzo Grazioli e citando a mo' d'esempio riforma fiscale e aiuti alle famiglie. Un incipit che Gianni Letta ha immediatamente rilanciato: «Il governo non è fermo, non è paralizzato e continua a lavorare».
Allo stesso tempo però bisogna disarmare i nemici. Al centro del mirino resta Gianfranco Fini. Il Pdl punta alle sue dimissioni percorrendo parallelamente due strade: l'affaire della casa di Montecarlo, su cui si discuterà oggi al Senato, e il suo ruolo non più «super partes» alla guida di Montecitorio. Ieri se ne è avuto un ulteriore assaggio. Bossi si è detto convinto che «Fini si debba dimettere», mentre il Pdl è insorto contro il presidente della Camera accusandolo di aver diffuso la notizia dell'arrivo delle nuove carte dai Pm milanesi prima di aver informato la giunta per le autorizzazioni a procedere. Fini non l'ha presa bene. E quando ha visto seduto su un divanetto di Montecitorio l'avvocato Niccolò Ghedini assieme al capogruppo pidiellino in giunta Maurizio Paniz gli ha detto chiaro e tondo che avevano preso una «cantonata». Paniz ha provato a difendersi: «Non volevo attaccare te, ma solo difendere la dignità dei componenti della Giunta». Fini però ha tirato dritto.