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Credito e crisi, parola a Davos

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2011 alle ore 06:35.


Stati Uniti e Gran Bretagna hanno un debito troppo elevato, che rappresenta «un pericolo potenziale in termini di sostenibilità e di contagio nel mondo». Altri paesi – come Argentina, India e Russia – hanno invece un sistema economico bisognoso di credito, ma hanno un mercato finanziario ancora poco sviluppato per erogarlo. Morale: il problema attuale non è l'eccesso di debito complessivo a livello mondiale, ma il fatto che è concentrato tutto in poche aree geografiche. Nel prossimo decennio, dunque, i crediti potranno aumentare in modo sostenibile a livello globale, passando dagli attuali 109mila miliardi di dollari a un massimo di 213mila miliardi, a patto che si sviluppino in nuove aree geografiche. Quelle tenute fino ad oggi ai margini.
Se serviva il sigillo definitivo, eccolo servito. Il World economic forum che inizia oggi nella città svizzera di Davos – dove come di consueto si riuniranno i protagonisti mondiali dell'economia, della politica e della finanza – si apre con uno studio che certifica nero su bianco che il mondo è diviso in due: da un lato Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna e Grecia che hanno abusato del credito per un decennio, dall'altro i paesi emergenti che sono rimasti a secco. Lo studio – realizzato da McKinsey e World economic forum – afferma che una crescita «sostenibile e responsabile» del credito è ancora possibile nel prossimo decennio. Anzi: «È essenziale se si vuole favorire lo sviluppo economico». Ma per raggiungere questo obiettivo i leader del mondo «devono intraprendere decise azioni». Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare lo studio. Ai grandi del mondo il compito di farne tesoro.
Debito o non debito?
Il documento parte da un dato di fatto: dal 2000 al 2009 il credito complessivo erogato a livello mondiale è passato da 57mila miliardi di dollari a 109mila miliardi. Una crescita del 7,5% annuo. Nello stesso arco di tempo, il Pil mondiale si è sviluppato più lentamente di quasi due punti percentuali l'anno: questo – sentenzia McKinsey – «non rappresenta di per sé una crescita insostenibile della leva finanziaria». Quello che rischia di essere insostenibile, però, è la impari distribuzione geografica di questo debito: se in alcuni paesi (per esempio Irlanda, Spagna e Grecia) c'è «un chiaro allarme di eccesso di credito», in altri ce n'è troppo poco. Un dato, più di tutti, lo dimostra: nei paesi emergenti, il 90% delle piccole aziende ha uno scarso accesso ai finanziamenti.

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Ecco perché lo studio afferma che nel prossimo decennio c'è spazio per una nuova espansione – sostenibile e responsabile – del credito: nel 2020, ipotizzando tre diversi scenari, il livello di credito mondiale potrà raggiungere i 196mila miliardi (ipotesi più conservativa), i 220mila miliardi (ipotesi media) o addirittura i 213mila miliardi (ipotesi ottimistica). Insomma: partendo dai 109mila miliardi del 2009, si tratta di un raddoppio. Ma questa espansione dovrà partire dagli stati che, fino ad oggi, hanno avuto poco: l'Argentina è la prima della lista, con la maggiore domanda di credito privato da qui al 2020. Poi c'è l'India, la Russia, il Messico, il Brasile, la Cina, la Polonia, il Sud Africa, la Malesia e la Thailandia.
Mondo diviso in due
Il problema è che i paesi emergenti hanno un sistema finanziario ancora inadeguato. Si pensi che, a livello mondiale, ancora 2,5 milioni di adulti non hanno neppure un conto corrente. «La sfida più significativa – scrive dunque McKinsey – sarà di integrare queste persone nel sistema bancario». Purtroppo le lacune, nei paesi emergenti, riguardano anche le imprese. McKinsey sostiene che il credito, da qui al 2020, sarà in parte erogato dal mercato dei capitali (attraverso obbligazioni): il problema è che i paesi che più avranno bisogno di credito hanno un mercato finanziario ancora troppo arretrato. D'altro canto le banche faticheranno ad erogare gli importi che verranno loro richiesti (27,7mila miliardi solo in Asia, di cui 18,7 nella sola Cina): per sopportare questo sforzo – sentenzia McKinsey – le banche dovranno ricapitalizzarsi di circa 9mila-9.500 miliardi di dollari. Mission impossible?
Se alcuni paesi hanno i denti ma non il pane, altri di pane ne hanno fin troppo. E rischiano di contagiare, con la loro indigestione, il resto del mondo. È il caso degli Stati Uniti: con un debito privato pari a 11mila miliardi di dollari (circa 50mila per persona) e con un sistema finanziario interconnesso con quello del mondo intero, gli Usa rappresentano «un potenziale elemento di contagio». Il debito è più insostenibile in Giappone, ma dato che quella nipponica è un'economia più isolata, il rischio di contagio è limitato. La morale dello studio è una sola: si può ancora crescere con la benzina del credito, purché sia erogato con raziocinio. «Questo richiederà scelte difficili ai leader mondiali – si legge in conclusione dello studio –: un impegno comune verso la trasparenza, verso le analisi basate sui fatti, verso la collaborazione e l'innovazione aiuterà ad assicurare che la crescita del credito supporti l'espansione economica».
m.longo@ilsole24ore.com
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Il tema di Davos: gli squilibri globali
ECCESSO DI DEBITO E RISCHIO DI CONTAGIO
Il grafico a fianco mostra il rischio di contagio finanziario causato dall'eccesso di debito. Come si vede dall'ampiezza delle palle, Stati Uniti ed Eurozona hanno gli stock di debito più elevati. Gli Usa, però, rappresentano un rischio di contagio mondiale maggiore. Per due motivi: il loro debito è meno sostenibile a livello locale e il loro sistema finanziario è maggiormente intreconnesso col resto del mondo. Questo significa che gli Usa sono più instabili e più in grado di contagiare altri paesi. Simile anche la situazione della Gran Bretagna. Il Giappone ha invece un debito insostenibile, ma ha un grado di interconnessione minore. L'Eurozona è messa meglio, ma nel suo interno lo studio evidenzia le posizioni critiche di Irlanda, Portogallo e Grecia.
DOMANDA DI CREDITO VS EVOLUZIONE DEL SISTEMA FINANZIARIO
Il grafico a fianco mette insieme due elementi chiave per lo sviluppo del credito (e dunque della crescita economica) nei prossimi anni: la domanda di credito e la capacità del mercato dei capitali di erogarlo. La tesi del grafico è semplice: i paesi dove il sistema economico avrà maggiore necessità di credito (Argentina in primis) sono i paesi dove il mercato dei capitali è meno sviluppato. Insomma: dove c'è necessità di credito, non ci sono gli strumenti adeguati per erogarlo. Viceversa in paesi come l'Irlanda non c'è domanda di credito da qui al 2020, ma c'è un mercato dei capitali molto sviluppato: hanno gli strumenti ma non la domanda.
L'AGENDA DI DAVOS
Alla ricerca di regole condivise
Dalle materie prime ai debiti sovrani
Tra i leader Merkel
Dall'Italia politici industrali e banchieri

Parte oggi fino a domenica la 41° edizione del World economic forum a Davos. Il tema di quest'anno è «Regole condivise per la nuova realtà». Nell'arco di cinque giorni - dal 26 al 30 gennaio - oltre 2.500 leader mondiali dell'economia, della politica, della società civile, dell'università e della cultura cercheranno di ristabilire la fiducia dopo la crisi finanziaria. Il fondatore del Wef Klaus Schwab ha detto che la priorità è quella di evitare che la crisi globale finanziaria e la successiva economica si trasformi in una "crisi sociale " come avvenuto in Grecia o Tunisia.
Al vertice del gotha politico e finanziario mondiale si parlerà dell'allarme lanciato dalla Fao sull'incremento record dei prezzi alimentari, dell'aumento demografico, dell'uso di cereali per produrre bio-fuel, di cambiamenti climatici. Si discuterà della nuova architettura finanziaria, dei debiti sovrani, dei flussi finanziari che da Stati Uniti ed Eurozona vanno in cerca di tassi di rendimento più redditivi nei mercati emergenti provocando aumento della valute locali, calo dell'export e incremento del deficit delle partite correnti.
Il segretario al Tesoro, Timothy Geithner, con un deficit commerciale con la Cina di 280 miliardi di dollari e un debito pubblico che corre senza freni, cercherà di rassicurare i partner. A sostenere gli sforzi di Washington negli incontri informali ci saranno il cancelliere tedesco Angela Merkel, il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron. A rappresentare i Bric ci saranno tra gli altri Chen Deming, il ministro al Commercio cinese, Antonio De Aguiar Patriota, ministro degli Esteri del Brasile e Chanda Kochhar, a capo della Banca indiana Icici
Nutrita la presenza italiana: ci saranno il ministro dell'Economia Giulio Tremonti e il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Incerta la presenza del governatore di Bankitalia Mario Draghi. Tante, invece, le presenze italiane sul fronte aziendale: si va dalle grandi banche (Unicredit sarà a Davos con l'ad Federico Ghizzoni, Banca Intesa Sanpaolo sarà rappresentata da Corrado Passera) all'energia con Paolo Scaroni (amministratore delegato dell'Eni) e Roberto Poli (il presidente del cane a sei zampe)

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