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Un'altra protesta partita da Facebook

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2011 alle ore 06:37.

Ancora una volta la protesta è partita da Facebook. Come in Tunisia, come in gran parte del nord Africa, è dai nuovi strumenti di comunicazione che sale la primavera araba. Perché è qui, intorno ai blog e ai social network, che le nuove generazioni si aggregano, imparano nuove idee e le diffondono su larga scala. Ed è proprio in ricordo di un blogger, Khaled Sa'id, pestato a morte dalla polizia lo scorso giugno, che si è tenuta la manifestazione di ieri al Cairo
L'Egitto non è la Tunisia. È un grande paese di oltre 80 milioni di abitanti (la Tunisia si ferma a 10 milioni), è il paese chiave di tutta l'area mediorientale, ed è anche uno dei migliori alleati degli Stati Uniti d'America. Quello che è accaduto nel paese di Ben Ali è difficilmente immaginabile qui. Ma da ieri anche l'impossibile è un po' più possibile.
Gli Usa, con Hillary Clinton, hanno immediatamente ribadito il loro sostegno a Hosni Mubarak, ma hanno dovuto anche precisare che «sta cercando soluzioni per rispondere alle legittime necessitá della popolazione».
Il messaggio è chiaro: Mubarak resta un alleato affidabile, ma davanti a una protesta che non ha i connotati del fondamentalismo islamico, ma piuttosto quelli di una generazione in cerca di democrazia e più libertà, il presidente egiziano dovrà dare segnali di apertura e di democratizzazione.
Anche perché altrimenti sarà il suo popolo a mandarlo a casa, esattamente come è successo con Ben Ali, perché se quei leader sono sempre stati affidabili per l'occidente, oggi non lo sono più per una gran parte delle loro (nuove) opinioni pubbliche.
In fondo l'unico paese che sembra al riparo da queste proteste è quel Marocco che ha saputo introdurre riforme come quella della giustizia e il nuovo codice di famiglia. Sembra questa la strada obbligata che ha oggi davanti l'Egitto, se Mubarak vorrà evitare guai peggiori.
I leader autocratici nel mondo arabo non hanno mai visto il popolo vincere una battaglia. Ma la realtà di queste rivolte è tutta nuova e loro sanno che c'è sempre una prima volta. La novità è che questi giovani hanno imparato a usare la comunicazione e oggi hanno in internet un alleato potente, che li mette in contatto tra loro e con il mondo.

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Tags Correlati: Africa del Nord | Ben Ali | Egitto | Hillary Clinton | Hosni Mubarak | Società dell'informazione | Tawakul Karman

 

Non a caso uno dei manifesti della protesta di ieri vede un'aquila con sotto scritto anche in inglese «freedom revolution», quasi fosse la locandina di una manifestazione di giovani di un qualunque paese dell'occidente. Ma questi giovani sono arabi e sono orgogliosi di sentirsi tali. L'evento lo hanno creato loro. Come ha osservato Zouhir Louassini, sul portale arabismo.it, «i tunisini hanno demolito quell'alibi che voleva gli arabi incapaci di ribellarsi contro l'oppressore. A loro spetta distruggere un altro pretesto usato anche dagli occidentali: gli arabi non sono pronti per la democrazia».
È per questo che ora tocca all'Egitto, mentre segnali di rivolta ribollono anche in Algeria e finanche nello Yemen, dove è una giornalista, Tawakul Karman,a portare avanti la protesta.
Un antico proverbio maghrebino recita: «Quando vedi radere la barba del tuo vicino, inizia a preparare la tua». Da oggi, probabilmente, è il proverbio più citato tra chi aspira ad archiviare l'era dei leader arabi non democratici. Mubarak farebbe bene a ricordarlo e non solo lui.
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