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Berlusconi: no alla patrimoniale, crescita vicina

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 07:46.

«Non cederò mai a un processo politico e mediatico. Il governo va avanti, perché non è stato commesso alcun reato». Nel vertice del Pdl di ieri pomeriggio a Palazzo Grazioli, Silvio Berlusconi ha confermato di non avere la minima intenzione di lasciare Palazzo Chigi o fare passi indietro e ha rinnovato il duro scontro con Gianfranco Fini, combattuto a colpi di reciproche richieste di dimissioni. Il premier appare più che mai determinato a proseguire la legislatura e si mostra, come sempre, decisamente ottimista per l'immediato futuro. Al punto di assicurare, in un'intervista al Foglio, che «la crescita è dietro l'angolo».

Mettendo per un momento da parte le vicende Ruby e co., Berlusconi entra nel dibattito sulla possibilità di introdurre un'imposta patrimoniale e sulle proposte avanzate da Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo. Ipotesi che con il suo esecutivo non vedranno la luce, dal momento che il premier ha già detto più volte di essere contrario a misure di questo tipo e ieri lo ha ribadito nettamente, in sintonia con la linea del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che ha precisato di non condividere né la proposta di Capaldo (una sorta di "privatizzazione" del debito pubblico) né l'idea di una patrimoniale, indicando nella vendita di una parte del patrimonio pubblico una strada perseguibile per la riduzione del debito pubblico. «Una imposta patrimoniale – sostiene Berlusconi – con il livello abnorme di pressione fiscale che si registra in Europa e in Italia, con i formidabili ostacoli che si frappongono alla crescita, sarebbe la via più breve per deprimere gli investimenti, mettere in fuga i capitali, impedire le riforme, riaccendere la corsa alla spesa pubblica improduttiva e alla creazione di nuovo debito». La ricetta che il Cavaliere propone, non da oggi, dovrebbe caratterizzare l'azione di governo per il resto della legislatura. «Bisogna – avverte il presidente del consiglio – fare esattamente il contrario: liberalizzare, privatizzare, riformare e incentivare la crescita dell'occupazione qualificata, della spesa per infrastrutture, dell'istruzione e della ricerca».

Un avvertimento lanciato in particolare al Partito democratico e al terzo polo, che se «si lasciassero lusingare da questa cultura old fashion si impiccherebbero all'eterno ritorno dell'identico, metterebbero in luce vecchiume e paralisi intellettuale e strategica». Quanto alla possibilità che a marzo, con i nuovi vincoli europei, ci possano essere più sacrifici per il paese, Berlusconi ribadisce la fiducia nelle capacità dimostrate dagli uomini della sua squadra di governo nell'affrontare la crisi: «Siamo perfettamente in grado – assicura – di fronteggiare in sicurezza gli aspetti anche più scabrosi della crisi finanziaria internazionale». Il peggio sarebbe comunque passato, se è vero, come sostiene il premier, che «la crescita è dietro l'angolo». Peggio che è stato invece raggiunto nello scontro con Fini, con reciproche richieste di dimissioni e continue accuse e denunce sulla casa di An di Montecarlo e le vicende della villa di Arcore.

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Chi è del tutto disinteressato alle case in questione è Umberto Bossi. «Non entro in quelle robe lì, io ho casa a Gemonio...», sottolinea, rinnovando comunque la lealtà sua e della Lega a Berlusconi. Il leader del Carroccio non nega che le nuove carte della procura di Milano nell'inchiesta Ruby «sono pasticci che complicano le cose», ma esclude di voler "mollare" Berlusconi, sia per fare il federalismo con un governo di transizione, sia dopo che la riforma sarà andata in porto: «Sono tutto tranne che un imbroglione», risponde a chi gli chiede se dopo l'approvazione del federalismo fiscale si possa rompere l'alleanza. Bossi respinge anche la proposta di terzo polo e Pd, ovvero quella di rompere con Berlusconi per portare a termine il federalismo con un nuovo governo: «Il federalismo lo facciamo noi, che siamo i più vicini a farlo. Per tanti anni l'ho portato avanti solo io, c'è anche una giustizia nelle cose».

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