Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 07:45.
Italo Calvino andava al Beaubourg quando ancora era in costruzione e gli consigliava di lavarlo con «giganteschi spazzoloni». Claudio Abbado lo chiama quando ha un'idea da portare nel mondo delle realizzazioni concrete, come i 90mila alberi da piantare a Milano o l'auditorium dell'Aquila «primo atto della rinascita». Edoardo Sanguineti gli dedicò il 22 luglio 2009 una «terzina per Renzo» raccontando «una storia che stringe insieme aeroporti, musei, chiese, teatri chiusi, parchi, gloria di aperte scene» e lamentando quanto «difficile è abitare in un caosse di démoni e dèi».
Renzo Piano, 73 anni, si è sempre definito «uomo del fare» ma ha sempre avuto molti amici intellettuali, «uomini del pensare». A legarli un'«affascinazione complementare» perché l'architettura «non esisterebbe senza quella parte nascosta dell'iceberg che è la radice umanistica e la curiosità sociale». «Ho sempre detto, scherzando, di essere il geometra del gruppo e ho sempre invidiato la leggerezza dei loro linguaggi, letterari e musicali, mentre io ero lì a battermi contro la forza di gravità», dice l'architetto che domani ritirerà il premio Nonino 2011. «Un premio letterario e filosofico, mi sono sorpreso quando mi hanno chiamato per dirmi che mi avevano scelto». Con lui, che riceverà il premio «maestro per una vita» dalle mani di Ermanno Olmi, saranno premiati Javer Marías, l'etologo Irenäaus Eibl-Eibesfeldt e l'ambientalista Frances Moore Lappé. La giuria è presieduta dall'intellettuale e scrittore anglo-trinidadiano di genitori indiani, V.S. Naipaul.
Architetto Piano, che cos'è questo aspetto umanistico che sta dietro l'architettura? L'architettura è prevalentemente luogo pubblico, costruzione di città, luogo di civiltà e di incontro, quindi avamposto contro la barbarie. La curiosità e la radice umanistica sostengono e reggono il tutto, la città ma anche l'edificio.
La radice umanistica fa pensare all'Italia. Che rapporto ha con l'Italia, lei che vive fra Parigi e New York? L'italianità non è un passaporto o un luogo fisico. È proprio quell'eredità umanistica, è quella mescolanza di arte, scienza, letteratura, musica, tecnica. Essere italiani è come stare sulle spalle di un gigante: ti fa cogliere la complessità delle cose, te le fa vedere da lontano. Questa attitudine, questo tratto, tanto più è riconoscibile, anche in Europa, quanto più ci si allontana, si guarda da lontano.
Ha riflettuto in questi giorni di anniversari sull'unità d'Italia? Penso sia un capitale dato proprio da questa complessità tenuta insieme, da queste radici così meticce e complesse che affondano nel Mediterraneo, già di suo una zuppa di culture. Mi fa orrore l'idea, che affiora di tanto in tanto nel dibattito politico, di rinunciare a questa unità, a questo capitale. La forza è proprio nel tenere insieme Nord e Sud, Est e Ovest, in tutte le loro manifestazioni.
Eppure l'Italia contemporanea è un paese che fa grande difficoltà a costruire luoghi e segni d'identità collettiva. Questo è vero, ma mi pare dipenda dai meccanismi decisionali. Anche all'estero si discute tanto di un progetto, anni e anni, con il massimo grado di democrazia, mettendo a confronto tutte le posizioni, ma poi arriva un punto in cui si decide e da quel momento si va avanti. Questo momento della decisione manca in Italia e rende difficile trovare oggi momenti di sintesi.
Parliamo della memoria collettiva. Il Sole 24 Ore ha rilanciato, con una fondazione e un concorso che sarà presto promosso, l'idea del Memoriale con riferimento ai caduti italiani nelle missioni internazionali di pace. Un tentativo di ricostruzione della memoria collettiva. L'idea del Memoriale ai caduti mi sembra ottima, doverosa.
Ha consigli da darci? Evitare la retorica. È il primo fantasma che ti appare davanti agli occhi in questi casi, la retorica. La seconda cosa che mi viene ora, sull'immediato, è far capire che questo tema che può sembrare di una sola parte politica, in realtà è di tutti. La terza è che i caduti di pace non sono caduti di guerra, sono eroi silenziosi. Lavorerei su questi temi.
Come rappresenta la memoria collettiva? Come un'enorme miniera in cui scavare. Eppure non riesco a non vedere nella memoria anche un pericolo: siamo travolti da una valanga di memoria e dobbiamo saper usare la bilancia tra memoria e oblìo se non vogliamo restare paralizzati, se vogliamo continuare a creare. Lo diceva Borges, creare è un mestiere sempre sospeso fra memoria e oblìo. Dobbiamo anche saper dimenticare.
I giovani dovrebbero aiutare in questo rapporto, ma l'Italia non premia i giovani talenti. Lei lo dice da tempo. È così. I giovani talenti vengono penalizzati in Italia. Oggi, ma anche ieri. Io ho fatto la mia carriera altrove.
Il Beaubourg, lei aveva 33 anni. Come fu accolto? Io e Rogers la spuntammo su 681 partecipanti. La nostra forza fu essere scelti da una giuria internazionale, ma all'inizio anche lì non fummo visti bene. Fu necessario un decreto del presidente Pompidou, su suggerimento della moglie, la signora Claude, per dichiararci architetti francesi. Allora per costruire bisognava essere Grand Prix de Rome. La grande stagione francese dei concorsi cominciò dopo, con la legge di Mitterrand. Ma quello fu l'inizio della frana che poi ha fatto così bene all'architettura francese.
Torniamo ai giovani italiani. Non è che anche un po' responsabilità degli architetti più anziani come Renzo Piano se i giovani non si fanno spazio? Io non sono un pigliatutto e poi lavoro per il 90% altrove. Il problema è che in Italia non si danno incarichi e non si fanno concorsi.
Già, il mercato dell'architettura in Italia è debolissimo. Il Sole 24 Ore, dalle colonne del settimanale Progetti e concorsi, ha rilanciato l'idea di una proposta di legge d'iniziativa popolare sull'architettura. Aiuterebbe? Aiuterebbe moltissimo e dovrebbe dare spazio ai giovani. Anche se per fare i concorsi le amministrazioni potrebbe anche semplicemente applicare la direttiva europea.
Se però i concorsi non si fanno, non è solo colpa delle leggi. Le amministrazioni non hanno molta voglia. Fare buoni concorsi è un'arte, anche da parte delle amministrazioni, bisogna sapere esattamente cosa chiedere, fare buoni briefing. La maggioranza degli amministratori è convinta che il concorso sia una perdita di tempo. Però colgo e condanno anche altre forme di diffidenza: concorso vuol dire lasciare libertà al progettista e perdere il telecomando.
Che cos'è il progetto? Progettare è saper interpretare, a modo proprio, necessità e bisogni. È falso che i buoni progetti siano quelli che si fanno in totale libertà. L'architetto deve nutrirsi della pura forza della necessità, prenderla e farla volare.
Esiste la bellezza? La bellezza è un'idea inarrivabile, se allunghi la mano ti scappa. È un'idea che ci arriva dall'antica Grecia, mi ha sempre colpito che nei linguaggi africani non esistano due parole distinte per "buono" e "bello".
Lei in Grecia sta realizzando la nuova biblioteca di Atene. Oggi la Grecia è un paese martire. La nuova biblioteca sarà realizzata nel Falero, il vecchio porto, con i soldi della fondazione Niarchos. Non sarà solo un luogo di libri, ma anche un centro di connessioni con altri luoghi del sapere, come deve essere una biblioteca oggi. Spero possa costituire una barriera contro l'imbarbarimento, rimandare indietro questo rischio.
Qual è la parola chiave dell'architettura nel XXI secolo? Se nel XIX secolo è stata acciaio e nel XX globalizzazione, direi che nel XXI secolo sono fragilità della Terra, dialogo con la Terra, energia. I nostri edifici devono imparare a respirare, stop all'aria condizionata: qui c'è una componente energetica e tecnologica, ma anche una di poesia. L'architettura deve saper guidare e spiegare questa transizione degli edifici verso un'era nuova.