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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 06:37.
DAVOS. Dal nostro inviato
Alessandro Profumo, ex ceo di UniCredit, in forma smagliante, a margine dell'assemblea generale di inaugurazione di Davos dove ha appena parlato il presidente russo Dmitry Medvedev, esclude con una battuta l'ipotesi che aleggia tra i corridoi ovattati del Wef, circa la possibilità che una nuova regolamentazione del settore bancario possa spingere gli asset a rischio maggiore verso il cosiddetto shadow banking system. «Non ho sentito nulla di tutto ciò, ma sono appena arrivato. Quando i banchieri vogliono scaricare le responsabilità parlano di shadow banking», dice con un sorriso. Eppure qualcuno tra i banchieri presenti si allarma e lancia l'ipotesi che una nuova stringente regolamentazione delle autorità di controllo possa spingere le attività rischiose verso gli hedge funds e altri enti con una vigilanza meno stringente. Insomma creare le premesse di una nuova crisi finanziaria come quella del 2008 che portò al fallimento di Lehamn Brother. Esagerazioni per previre nuovi interventi? Forse.
Jacob Frenkel, presidente di Jp Morgan Chase international sembre più preoccupato che tra le due sponde dell'Atlantico ci sia uniformità di regolamentazione e che le regole del gioco siano eque per tutti i players. Carol McMullen, dinamica rappresentante delle medie banche americane presidente della Eastern Wealth Mangement, istituto di Boston, ricorda «come la maggior parte della banche a stelle e a strisce(e sono più di ottomile) non ha chiesto soldi al governo con il Tarp, non ha creato problemi e crea occupazione, ottimi posti di qualità in questi momenti duri per la disoccupazione in America».
Eppure qualcuno lancia l'allarme come di consueto sulla regolamentazione troppo severa che potrebbe favorire lo shadow banking sistem.
Anche se John Reed, 71 anni, ex co-ceo e fondatore di Citigroup, recentemente ha detto «che solo il 25% dei cambiamenti necessari al sistema finanziario americano sono stati portati a compimento. Sono stupito perché abbiamo colpito la maggiore economia del mondo per un errore di bank management». Peccato non sia presente al Wef. Sarebbe stato interessante sentirlo parlare sul tema.
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