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Scontro finale Berlusconi-Fini

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 07:46.

Siamo al duello all'ultimo sangue. Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, l'uno contro l'altro senza esclusioni di colpi con il reciproco obiettivo di veder conclusa la carriera politica o almeno istituzionale dell'altro. Il caso Ruby e la casa di Montecarlo diventano le munizioni che le rispettive squadre utilizzano per tentare di abbattere l'avversario. Berlusconi è stato netto: la priorità adesso è dimissionare Gianfranco Fini. Ieri lo ha ripetuto più volte nel corso del vertice con lo stato maggiore del Pdl.

Una riunione cominciata poco dopo la conclusione al Senato dell'intervento con cui il ministro degli Esteri Franco Frattini, in un'aula semideserta perché abbandonata dall'opposizione, aveva ribadito «l'autenticità e la veridicità» della lettera con cui l'estate scorsa il ministro della Giustizia di Santa Lucia sosteneva che la casa di Montecarlo è del cognato di Fini. Il premier è un fiume in piena: «Avevano pensato di farmi fuori, ma sarà lui a perdere, come al solito, dovrà spiegare perché continua a restare lì ora che è a tutti chiaro che la casa è di suo cognato». Il Cavaliere non vuole parlare delle nuove «scandalose» carte su Ruby. A chi, magari un po' preoccupato, gli chiede lumi assicura che tutto si risolverà perché «penalmente non possono fare nulla» e «politicamente» è convinto di poter dimostrare ancora una volta che è «tutta una persecuzione giudiziaria», ordita dai Pm di Milano. E Fini – ripete più volte – è in combutta con loro, gli fa da sponda.

Con il passare delle ore non c'è praticamente esponente del Pdl che non faccia una dichiarazione per chiedere le dimissioni del presidente della Camera. Il fronte finiano non rimane con le mani in mano. Scatta la denuncia per abuso di potere da parte di un militante di Fli verso il ministro degli Esteri e in una conferenza stampa il vertice futurista accusa Berlusconi di essere «il mandante di un dossieraggio a orologeria» contro Fini, di cui «manovale è Valter Lavitola (il direttore dell'Avanti che si è dato da fare a Santa Lucia per recuperare le carte ndr)» mentre a Frattini viene attribuito il ruolo di «fattorino». Perfino il moderato Andrea Ronchi, ex ministro delle politiche comunitarie, arriva ad attaccare il suo ex collega di governo imputandogli di aver scritto ieri «la pagina più brutta, più indecorosa e triste della nostra storia repubblicana». Ma nel mirino c'è soprattutto il presidente del Senato Renato Schifani bollato da Italo Bocchino «il falso testimone, assieme a Frattini, di Berlusconi» e di cui di fatto Fli ha chiesto le dimissioni perché «non super partes».

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Tags Correlati: Gianfranco Fini | Governo | Il Cavaliere | Italo Bocchino | Montecitorio | Pasquale Viespoli | PDL | Renato Schifani | Santa Lucia | Senato | Silvio Berlusconi | Valter Lavitola

 

Contro Schifani erano già insorte in mattinata tutte le opposizioni, accusandolo di aver messo in discussione l'interrogazione presentata dal Pdl solo «il giorno prima» quando ci sono «migliaia di atti ispettivi che da tempo attendono risposta». Una «inusuale solerzia», la definisce il capogruppo finiano Pasquale Viespoli, che però non abbandonerà l'aula. Schifani – assente perché a Mathausen per il giorno della memoria – replica: «Nel nostro paese esiste libertà di parola e quindi anche di polemica ma chi conosce i regolamenti parlamentari sa che non è competenza del presidente del Senato decidere a quali interrogazioni rispondere». In sostanza – dice Schifani – è il governo che decide quando e su cosa rispondere al parlamento. «Peccato che Frattini si è invece giustificato sostenendo di essere venuto al Senato perché il governo non può sottrarsi a una chiamata del Parlamento», contro replica Bocchino. L'attacco di Fli è stato ovviamente concordato con Fini. Il presidente della Camera rimane silenzioso ma è convinto che l'attacco sferrato nei suoi confronti è il sintomo della «disperazione» di Berlusconi il quale «nella sua concezione proprietaria delle istituzioni si vuole impossessare anche di Montecitorio e poi del Quirinale».

Lo stato maggiore del Pdl scende in campo in difesa del presidente del Senato e del ministro degli Esteri e con una nota ufficiale chiede le dimissioni di Fini: «Dica se intende tenere fede alla sua promessa di dimissioni. La casa è del cognato. La prova ora c'è. Non si nasconda Fini dietro l'attesa di future decisioni giudiziarie a noi del tutto indifferenti. La questione che ci interessa non è penale, ma politica». Poco dopo la contro replica di Fli: «Anziché preparare dossier nel tentativo di intimidire, Berlusconi abbia la dignità di dimettersi per consentire agli italiani di pronunciarsi sulle tonnellate di fango che lo riguardano».

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