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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 11:35.
IL CAIRO - Lasciati alle spalle gli onori della scena mondiale come presidente dell'Agenzia nucleare e con in tasca il Nobel per la pace vinto nel 2005, il ritorno in patria di Mohamed ElBaradei nel febbraio scorso fu quasi trionfale: qualche migliaio di persone intasavano l'aeroporto del Cairo e ad accoglierlo c'erano personalità eccellenti, in prima fila Alaa al Aswani, lo scrittore diventato celebre con il romanzo Palazzo Yacoubian, uno dei suoi maggiori sostenitori alla candidatura presidenziale. In pochi mesi ElBaradei, che ha trascorso gran parte della sua vita all'estero, è diventato noto anche in patria per la sfida al faraone Mubarak: il suo sito su Facebook ha superato in popolarità nel mondo arabo anche quello dell'affascinante Rania, la sovrana di Amman.
ElBaradei è il leader che attendeva l'opposizione per partire all'attacco di un regime sclerotizzato. Ha un grande prestigio internazionale, è laico, colto e, soprattutto, dice quello che pensa, senza essere condizionato dal suo passato di diplomatico navigato. Come direttore dell'Aiea ha dato prove di equilibrio in situazioni estreme, come la guerra in Iraq, evitando di cadere nell'ambiguità e nella doppiezza.
È un uomo intellettualmente onesto che ha mostrato di credere con fermezza nel suo ruolo. Del resto il premio Nobel gli fu assegnato perché insieme agli ispettori dell'Onu guidati da Hans Blix condusse una verifica sistematica e precisa degli arsenali iracheni arrivando a una conclusione che riportò con chiarezza alle Nazioni Unite: «Saddam Hussein non ha armi nucleari». Una verità riconosciuta e accettata soltanto dopo il conflitto: la sanguinaria dittatura del raìs non possedeva ordigni di distruzione di massa, ovvero la ragione principale con cui gli americani avevano giustificato la guerra. Allora fu contestato al consiglio di Sicurezza da un famoso discorso del segretario di stato americano Colin Powell, del quale successivamente l'ex generale si è pentito e scusato con lo stesso ElBaradei.
ElBaradei fu severo anche nel 2002 quando la Corea del Nord si ritirò dal Trattato di non proliferazione ed espulse gli ispettori dell'Aiea, denunciando «la grave minaccia» alla legalità e alla sicurezza internazionale. E fu lui a mettere in difficoltà l'Iran per non aver dichiarato all'Aiea l'esistenza di siti nucleari sparsi per il paese.