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Non strozzare il grido di libertà

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 gennaio 2011 alle ore 09:59.

Una vera democrazia al posto dell'autoritarismo. È davvero pronto l'Occidente a investirci senza prima mettere avanti i suoi interessi a discapito di quello che con i suoi valori e capisaldi - libertà, diritti umani, democrazia - lo ha reso l'invidiabile Occidente?
Sino alle rivolte di oggi la risposta sarebbe stata: altra domanda?
Le rivolte in Tunisia, Algeria, Egitto, Yemen mettono invece nell'impossibilità di ignorare il quesito. E un primo segnale si può leggere nelle parole del ministro della Difesa francese Alain Juppé, per il quale l'Egitto è «certamente un regime autoritario», ma non sarà la Francia a «sostituirsi allo stesso popolo nelle decisioni che prenderà».


Sembra un cambio di rotta, rispetto al vecchio ritornello delle diplomazie occidentali: «Mubarak è un leader che ha avuto il merito di aver salvato il paese dal caos dopo l'uccisione di Sadat. È un alleato perché è riuscito a contenere l'ascesa dei fratelli musulmani e del terrorismo».

Questo oggi non basta più. Non bastava per Ben Ali, non basta per Mubarak e non basterà per i prossimi leader autocratici che saranno messi in discussione. Perché non basta per una piazza che non ci sta ad essere sacrificata. Che ci grida di voler democrazia. Che non ci sta a pagare con il prezzo della propria libertà. I tunisini sono appena entrati nell'età della politica, hanno cessato di essere sudditi e si stanno preparando a diventare cittadini: lo stesso vogliono fare gli algerini e gli egiziani.

Giuliano Amato su questo giornale ha spiegato la scorsa domenica il perché: «La realtà è che l'autoritarismo dei paesi arabi ha le sue ragioni originarie nell'arretratezza economica e sociale che ovunque nel mondo ha reso e rende difficile il radicamento della democrazia, mentre è ora tenuto in vita dalle autodifese che si è creato e da quelle a cui oggi dà ragione non la religione islamica, ma il fondamentalismo islamico che nell'arretratezza prospera ben più dei sentimenti democratici».

Niente da eccepire, se non aggiungere che proprio l'autoritarismo ha generato ancor di più il fondamentalismo, che ha usato la carta dell'alleanza dell'Occidente con i regimi per poter screditare nell'opinione pubblica il ruolo delle democrazie occidentali.

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Tags Correlati: Alain Juppé | Ben Ali | Egitto | Politica

 

La piazza democratica, e non fondamentalista, che oggi ribalta questi vecchi leader è dunque una campana che suona per l'Occidente e gli impone di cambiare le sue strategie nell'area. La lezione di democrazia che l'Occidente ha dato non è stata allettante e perciò è necessario ascoltare e credere in quello che è nato in questi paesi e si sta espandendo a macchia d'olio, come la velocità dei tempi di Facebook e Twitter vogliono. Osservare cautamente da lontano, ma senza ingerenze. Il ribaltone queste nuove opinioni pubbliche indigene vogliono farlo da sole e solo in questo modo si sentono alla pari, lasciandosi alle spalle la vecchia recriminazione: «Per noi sono stati altri a disegnare abiti e nazioni».

Chi non vede e non sente il grido di questa rivolta come un cambio positivo indebolisce la voglia di cambiamento e in fin dei conti la democrazia: ci troviamo di fronte ad una generazione cosciente e ambiziosa, che ha deciso di cambiare pagina.

Muovere lo spettro di futuri eventuali regimi anti-occidentali, non è solo un grave errore ma equivale ancora una volta alla nostra paura e presunzione di credere che la democrazia possa essere solo nostra. Dimenticando che la democrazia è un processo che ha bisogno dei suoi tempi e dei suoi uomini. Anche loro dovranno farcela. Ce lo hanno gridato.

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