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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 09:30.
L'ultima modifica è del 30 gennaio 2011 alle ore 08:10.
L'amministratore delegato di una delle maggiori banche al mondo si passa la mano tra i capelli bianchi e dice «Il World economic forum 2011? È cominciato nella speranza ed è finito nell'ansia. Ma sa qual è la differenza tra questa edizione e quelle seguite alla crisi finanziaria 2008? Allora era l'economia a far paura, ora è il mondo». Il nostro interlocutore a Davos, forse l'ultimo veterano sopravvissuto allo tsunami Lehman Brothers, sintetizza così l'umore finanziario. E ha ragione: il vertice delle aziende, delle banche, della politica, aveva appena concordato che, malgrado tutto, il peggio era alle spalle, quando il domino Tunisia-Egitto riapre la nevrosi.
Davos era dunque cominciata bene: tanti, perfino il mitico Dottor Doom, Nouriel Roubini, il primo a parlare di crisi, discutevano di ripresa a tre velocità. «Il bicchiere è mezzo pieno» ha ammesso Roubini, con in mano davvero un bicchiere di vino bianco, e Zhu Min, del Fondo monetario internazionale, ha coniato la frase «ripresa a tre velocità», un ciclomotore di speranza. I mercati emergenti, Bric (Brasile, Russia, India, Cina, o Brics se aggiungete il Sudafrica) cresceranno nel 2011 del 6%, gli Stati Uniti del 3% e l'Europa del 2% se va bene (Italia indietro).
Fin qui il consenso, subito i dissensi. Per il segretario americano Tim Geithner, come per Larry Summers, appena uscito dal cerchio dei consiglieri di Obama, non è tempo di staccare la presa dello stimolo fiscale, non prima almeno che arrivino veri posti di lavoro. Anche perché, per tradizione, quando la disoccupazione Usa oscilla intorno al 10% l'inquilino della Casa Bianca è sfrattato. Geithner è apparso stanco, stressato, «sono un vecchio dal volto di ragazzo» ha detto in un momento di candore. Ha parlato di un'economia cresciuta del 3,2% nell'ultimo trimestre 2010, ma senza creare ancora lavoro. E con la destra repubblicana che insiste per tagli drastici al budget federale, la politica economica è, per Geithner, tortura: non togliere il piede dall'acceleratore, eppure già frenare. «Gli adulti capiscono che non è tempo di tagli» mormora sconsolato, e i «non adulti» sono certo per lui i parlamentari vicini al Tea Party da affrontare al Congresso.