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Il sì ai decreti entro marzo, poi elezioni

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 08:12.

Raramente capita di vedere la Lega divisa ma nell'attuale fase politica succede anche questo. Succede che l'aut aut di Roberto Maroni – «se giovedì non passa il decreto si vota» – viene corretto e smentito dal suo collega Calderoli, che si fa portaparola del pensiero di Umberto Bossi. E infatti, l'aria che tirava in via Bellerio, la sede del Carroccio dove ieri erano riuniti il Senatur e i suoi, non era quella di chi sta staccando la spina al governo e facendo in fretta le valigie. Tutt'altro. L'aria era quella di chi vuole temporeggiare e provarle tutte in nome del federalismo prima di scegliere la strada del voto anticipato. Che resta l'opzione più probabile – sia chiaro – perché i leghisti si rendono conto che senza voti in Parlamento non si governa ma prima vogliono prove tangibili da mostrare agli elettori.

E giovedì potrebbe essere uno di quei giorni in cui una parità alla bicameralina può diventare uno snodo politico forte verso le elezioni. Anche se non ancora così forte da chiederle davvero. La Lega sa di dover puntare a ogni costo all'incasso dei quattro decreti da qui a fine marzo e, dunque, giovedì più che battere i pugni per le urne, cercherà di far approvare il testo "respinto" in commissione. Questa è la strategia per il momento, come racconta Giacomo Stucchi, parlamentare leghista di Bergamo molto vicino al ministro Calderoli. «Abbiamo dalla nostra parte il parere dei comuni e vorrei ricordarle che a guidare l'Anci c'è un sindaco di sinistra com'è Sergio Chiamparino. Mi pare evidente, quindi, che il "no" dell'opposizione sia tutto strumentale e per niente legato ai contenuti. Proprio per questa ragione, anche a fronte di un parere non positivo giovedì, la Lega potrebbe chiedere al governo di andare avanti lo stesso e approvare il decreto». Insomma, si cambia solo l'iter ma non si abbandona il traguardo di mettere a segno il federalismo.

La Lega, si sa, è l'unica che ha un rapporto stretto e genuino con il territorio. E la spinta ad aspettare prima di far saltare tutto viene proprio da lì, come spiega Massimo Garavaglia, senatore milanese molto vicino a un altro big del Carroccio, il "potente" tremontiano Giancarlo Giorgetti. «Al di là di quello che si legge sui giornali o si vede in Tv, l'80% della base leghista vuole il federalismo più delle elezioni. Lo vogliono gli artigiani e i nostri amministratori. È chiaro – continua Garavaglia – che noi punteremo a portare a casa tutto, anche il decreto sui costi standard nelle regioni. Se poi non sarà possibile in alcun caso allora l'unico bivio sarà quello delle urne. Ma chiariremo ai nostri elettori che chi non ha voluto il federalismo è il partito della patrimoniale. Per tenere i conti a posto, infatti, o si fa la riforma federale o si sceglie la via delle tasse».

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Tags Correlati: ANCI | Bersani | Elezioni | Giacomo Stucchi | Giancarlo Giorgetti | Lega | Massimo Garavaglia | Pd | Roberto Maroni | Sergio Chiamparino | Silvio Berlusconi | Umberto Bossi

 

Insomma, giovedì si proverà ancora ma nel frattempo si "costruiscono" le battaglie da campagne elettorale. E una è proprio questa: federalisti contro "patrimonialisti". Intanto si prende tempo. Perché anche la mossa di Silvio Berlusconi di offrire un dialogo bipartisan al Pd sull'economia (respinto da Bersani) è dilatoria, fatta solo per prendere tempo. Ed è in questo tempo che la Lega proverà ancora a centrare il suo traguardo. «Una eventuale bocciatura, giovedì, non metterà la parola fine. I nostri interlocutori sono gli amministratori e loro ci hanno dato il via libera», l'onorevole Stucchi insiste e addirittura sposta l'asticella al 27 marzo, dead line degli altri decreti. Ma allora non si andrà più alle urne? «Si potrà votare a fine maggio. Nel '87 si votò a giugno». La risposta di Stucchi è pronta, segno che il calendario della Lega ha già dei giorni selezionati. Non a marzo ma a maggio.

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