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Questo articolo è stato pubblicato il 31 gennaio 2011 alle ore 06:37.
In Italia c'è già un grande deposito di rifiuti radioattivi. Con le file impilate di fusti d'acciaio contrassegnati dal simbolo che suscita tanti timori. Con le porte blindate e i controlli severissimi. Con i rilevatori di raggi x e gamma. Il deposito è a Ispra, nella brughiera alle spalle della sponda varesina del lago Maggiore. Eppure non è conteggiato dal censimento ufficiale perché gode di una particolare forma di extraterritorialità: come se non fosse Italia. È il centro di ricerca europea, dipende direttamente da Bruxelles. Vi lavorano centinaia di scienziati e ricercatori di tutti i paesi del continente.
A Ispra si può seguire passo per passo il processo di smantellamento di un reattore atomico. Il deposito è infatti al servizio del reattore Essor, spento. Era un grande reattore atomico per ricerca da 42 megawatt, ma non serviva per generare elettricità. Studiava i comportamenti dei materiali, gli isotopi, le radiazioni, le tecnologie. Oggi il reattore è in via di smantellamento.
Il centro di Ispra era nato mezzo secolo fa, quando l'Italia del dopoguerra tentava di ricuperare la strada persa con la cacciata fascista di Enrico Fermi negli Usa. Lì i geniali Fermi ed Emilio Segrè realizzarono il primo reattore atomico, il Chicago1. Così negli anni 50, gemello di quello di Fermi e Segrè, sulle rive del lago Maggiore nacque l'Ispra1. Rimase all'Italia pochi mesi: stavano nascendo i semi dell'unità europea con l'Euratom. Pochi mesi dopo la sua inaugurazione, il centro nucleare di Ispra fu ceduto all'Euratom. Oggi si chiama Joint Research Centre e – dopo avere chiuso il vecchissimo reattore "fermiano" Ispra1 – ora sta chiudendo il grande Essor costruito negli anni 50-60 e non vuole occuparsi più di energia atomica.
Dolf van Hattem, direttore facente funzioni, è olandese. «Il Joint Research Center dà alla Commissione gli strumenti su temi come la crisi economica, il clima e l'ambiente, la sicurezza, la demografia», dice.In altre parole, il centro è un «fornitore di opzioni politiche basate sulla scienza». Il budget è sui 420 milioni di euro l'anno, cui vanno aggiunti i 33 milioni per lo smantellamento della sezione nucleare. Qui si mettono a punto tecniche e metodologie con cui l'Europa cerca d'imparare a realizzare il decommissioning.