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Esercito arbitro della transizione

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 07:59.

Sorride il soldato in mimetica e mitra a tracolla al check point del Ponte dei Leoni: controlla il passaporto e subito dopo arriva il solerte servizio d'ordine dei Fratelli musulmani che ti accoglie in piazza Tahrir con un rilassante «welcome». L'esercito ha mantenuto la parola schierandosi, come avevano promesso i generali, dalla parte del popolo. In realtà le forze armate stanno ancora nel mezzo e rappresentano una sorta di arbitro supremo e rispettato tra la piazza e Mubarak: sono loro che decideranno come e quando se ne andrà.

L'esercito è l'istituzione più potente per i destini del paese. Il 23 luglio 1952, un piccolo gruppo di militari guidati da Nasser, in seguito ribattezzati Ufficiali liberi, approfittò del crescente risentimento popolare contro l'inefficace re Farouk e la presenza britannica per conquistare il potere. Il regime che insediarono quel giorno è rimasto al potere fino a oggi. E quando Mubarak, ex comandante dell'aviazione durante la guerra del Kippur, ha deciso di arroccarsi per resistere alle più grandi manifestazioni popolari nella storia egiziana, ha puntato su un gruppo di generali a lui fedeli, come Omar Suleiman, ex capo dei servizi, e ora vice presidente e il generale Ahmed Shafik diventato primo ministro. Al momento del giuramento per l'incarico i due, pur essendo in abiti civili, sono scattati davanti al presidente sbattendo i tacchi con il saluto militare.

All'esercito si affida l'Egitto per una transizione non traumatica mentre l'Occidente e Israele contano sui generali affinché il Cairo tenga a bada i fondamentalisti del movimento dei Fratelli musulmani e mantenga fede agli accordi di pace con lo stato ebraico, a partire dal quello storico di Camp David del 1978 firmato da Anwar Sadat, un altro ufficiale-presidente, al quale quella trattativa tre anni dopo costò la pelle.

Hosni Mubarak, certo non un personaggio di primo piano, è stato fatto presidente nel 1981 dalle forze armate che lo pescarono nell'ombra e sono loro che possono disfarsene. Anzi, si può dire che in parte ci troviamo in questa situazione proprio perché nell'autunno scorso circolò una lettera aperta tra gli ufficiali che criticavano la candidatura di Gamal, figlio di Mubarak, alla presidenza: con suoi trascorsi da banchiere i militari lo ritenevano un corpo estraneo alla loro tradizione, capace di poter erodere le posizioni acquisite. La cosa fu resa ancora più evidente quando subito dopo comparvero manifesti che inneggiavano al generale Suleiman come candidato alle presidenziali.

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Tags Correlati: Ahmed Shafik | Anwar Sadat | Egitto | Elezioni | Forze Armate | Hosni Mubarak | Jamaa Islamya | Military | Omar Suleiman

 

Eppure anche l'esercito, al quale rendono omaggio tutti, islamici compresi, in questa transizione possibile rischia di perdere qualcosa. Negli ultimi 30 anni le forze armate hanno ricevuto quasi 40 miliardi di dollari di aiuti americani che hanno contribuito a trasformare l'organizzazione militare in una sorta di corporation che oltre alla sicurezza e all'industria della difesa si occupa di grandi lavori, edilizia, turismo e beni di consumo.

Il regime di Mubarak ha cercato di coltivare la fedeltà dell'esercito concedendo privilegi e benefici economici sotto forma di iniziative imprenditoriali. Un sistema per ridurre progressivamente la loro influenza diretta in politica. L'autostrada dal Cairo al Mar Rosso è stata fatta dai militari che fabbricano anche frigoriferi, imbottigliano acqua minerale e olio d'oliva. La Military 99, industria della difesa, oltre alle munizioni produce pentole, coltelli, cucine a gas. E dal 2008, anno della rivolta della farina, i militari distribuiscono il pane nelle grandi città. Insomma i generali sono assai impegnati come uomini d'affari.

Le forze amate sono comunque ritenute l'unica istituzione efficiente in uno stato friabile e corrotto. L'esercito è rimasto il silenzioso garante della stabilità e per due volte stato schierato per reprimere sotto Sadat una rivolta del pane, nel 1977 e nel 1986, quando una parte delle forze di sicurezza, per rivendicazioni salariali, insorse saccheggiando il Cairo.
Finora i militari hanno avuto la parola decisiva sulla nomina del presidente ma hanno sempre evitato di mischiarsi con i partiti se non per lanciare avvertimenti ai Fratelli musulmani. Anche se l'esercito egiziano ha duramente combattuto i gruppi radicali islamici come la Jihad o la Jamaa Islamya, meno secolarista di quello turco e forse più flessibile quando si tratterà di trovare una soluzione con i Fratelli musulmani. Legare il proprio futuro a un regime paralizzato come quello di Mubarak potrebbe, in fin dei conti, distruggere la reputazione dei militari e compromettere la capacità di mantenere i loro privilegi. (A.N.)

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