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Mubarak: «Non mi ricandiderò»

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 07:58.

IL CAIRO. È la cronaca di una giornata che entrerà nella storia, dicono al Cairo, come questa notte lunga e carica di aspettative sotto un cielo lattiginoso e senza stelle. Un attesa che si spezza quando Mubarak annuncia che non si ricandiderà, per la sesta volta, alle elezioni presidenziali di settembre, una decisione richiesta anche da Obama che avrebbe avuto un effetto positivo due settimane fa, prima che la protesta esplodesse, adesso appare tardiva.

Tutto inizia all'alba, con un «Allah u Akbar», Dio è grande, che annuncia la chiamata a raccolta di un intero popolo. Così come era avvenuto nel giugno 2009 ad Azadi Square, a Teheran, un'altra piazza intitolata alla Libertà come questa di Midan Tahrir del Cairo. Qualche milione di iraniani allora ci provò a farsi restituire il voto rubato da Ahmadinejad. Finì in tragedia e con una repressione che continua ancora oggi.

La piazza che ho davanti, con un milione di persone che sommergono la capitale e i viali intorno al Nilo, ha qualche buona probabilità di farcela a mandare via il presidente Hosni Mubarak. Soprattutto perché non trova sulla sua strada come in Iran i fucili dei pasdaran e i manganelli delle milizie dei basiji ma un esercito disponibile a schierarsi con il popolo.
È vero che questa fiumana in piena che attraversa impetuosa per ore il ponte dei Leoni la sua battaglia l'ha già combattuta e vinta, a caro prezzo, contro la polizia e i saccheggiatori: 300 morti in tutto il paese, secondo l'Onu, migliaia e migliaia di feriti. Mubarak è stato un autocrate liberticida, non un dittatore sanguinario come Saddam in Iraq, anche se ci ha provato a stendere al tappeto l'Egitto scatenando bande di agenti in borghese e poi riportando il paese all'età del ferro: ha bloccato i treni, internet e ha chiesto ai generali, con i posti di blocco e il filo spinato, di non rendere troppo umiliante questo plebiscito contro di lui. Ha organizzato, da scenografo frettoloso, anche una contro-manifestazione di duemila sostenitori davanti al ministero degli Esteri che, ripresi in campo stretto per farli sembrare di più, ha dilagato nei palinsesti della tv di stato: su piazza Tahrir ufficialmente non è stata sprecata neppure una parola,. Se i militari vogliono tenere fede alle loro dichiarazioni, cioè che le richieste popolari sono legittime, devono risollevare subito una nazione che rischia di precipitare sul fondo: l'opposizione ha annunciato uno sciopero a oltranza fino a quando Mubarak se ne andrà.

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Tags Correlati: Ahmed Zewail | Amr Moussa | Azhar Al | Ben Ali | Dio | Egitto | Hosni Mubarak | Iran | Iraq | Ministero degli affari Esteri | Omar Suleiman | Onu | Rashad Bayoumi

 

Il leader del comitato che riunisce i laici e i Fratelli Musulmani, Mohamed ElBaradei, ha detto che il dialogo tra governo e opposizione potrà cominciare « soltanto dopo che saranno accolte le richieste del popolo e la prima di queste è che Mubarak se ne vada», aggiungendo che la trattativa potrebbe comprendere anche lo scioglimento del Parlamento e le forme di potere transitorio.

Ma sarà davvero ElBaradei a guidare il negoziato - si presume con i generali - e poi a rivestire una carica importante? Sul fronte laico si stanno facendo avanti nuove candidature. Una di queste è quella di Amr Moussa, 74 anni, segretario generale della Lega Araba che segue la rivolta dal suo ufficio nel palazzo bianco di piazza Tahrir: «Sono disponibile a impegnarmi per una transizione pacifica», ha dichiarato. Ottimo diplomatico, con una buona popolarità, Moussa è stato tra i primi a capire che "l'effetto Tunisia" poteva diventare contagioso. Insieme a lui si fa il nome di Ahmed Zewail, 65 anni, vincitore del Nobel per la chimica nel '99, rientrato ieri dall'America: è considerato una delle personalità più eminenti.
La mobilitazione contro Mubarak sta rimettendo in moto le energie politiche e intellettuali di un paese narcotizzato da decenni, anche per questo è difficile interpretare la situazione. Si potrà discutere sulle cifre esatte ma in Egitto non era mai accaduto di vedere un'adunata come questa "marcia del milione", neppure ai tempi del colpo di stato che nel 1952 abbattè la monarchia del re travicello Farouk. «Siamo un popolo mite ma abbiamo sopportato troppo: è ora che l'Egitto inizi una vita democratica, non vogliamo condanne a morte come in Iraq o vendette», dice una coppia di professori del liceo che fotografa una piazza calda, euforica ma dove non c'è mai stato un segno di tensione. Non si sono visti slogan truculenti e la gente ha sfilato ordinata, senza eccessi: una piazza stracolma ed educata, dove si pregava, si scandivano slogan - ma si raccoglievano anche le bottiglie di plastica - è stata la spallata morale peggiore che potesse arrivare alla sagoma mummificata di Mubarak.
Via a ogni costo, persino contro ogni convinzione radicata. L'esaltazione è tale che uno sceicco di Al Azhar che guida i predicatori in turbante bianco e cappuccio rosso arriva a dire: «Posso anche accettare come presidente temporaneo Omar Suleiman (il vice di Mubarak, ndr) per una soluzione che si porti via il presidente», una dichiarazione inaspettata da parte di un fondamentalista. Meno conciliante è Rashad Bayoumi, numero due dei Fratelli musulmani: lo vedo entrare accolto da un boato. Dopo essere rimasti dietro le quinte nei primi giorni della protesta adesso i Fratelli sono in prima linea, sono loro a fare il servizio d'ordine appena un passo dietro ai militari, a portare bevande e datteri deliziosi. Non hanno più cautele: «Mubarak se ne deve andare - grida Bayoumi che sopravvive all'abbraccio grazie ai suoi 130 chili - e con lui anche il suo entourage, tutto il governo e il Parlamento». Adesso bisogna vedere cosa ne pensano i militari, da oltre mezzo secolo i grandi elettori del rais che forse non possono liquidare in stile Ben Ali l'ex generale Mubarak.

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