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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 06:37.
Non sono per nulla sorpresi, gli egiziani emigrati in Italia, della sanguinosa rivolta che sta agitando Il Cairo e tutto l'Egitto. Era nell'aria da tempo. Troppi gli eccessi del regime e troppa la povertà da sopportare. «Certo che ci aspettavamo questa rivoluzione! - spiega concitato Raafat Nassar, titolare di Mido, il primo ristorante egiziano a nascere a Milano -. Quando siamo tornati in Egitto ad agosto, in vacanza, abbiamo visto una povertà insopportabile. Il costo della vita è troppo alto; la carne costa più che in Italia; e tutta la ricchezza è nelle mani dell'entourage di Mubarak, che rappresenta il 2-3% della popolazione. Per non parlare della corruzione: senza pagare una tangente non si può fare nulla, né ottenere un documento, né posare un mattone, niente. Era chiaro che sarebbe arrivata questa onda, specie dopo le elezioni di settembre dove ci sono stati brogli scandalosi. I nostri amici ci hanno raccontato di episodi incredibili: camion che venivano a ritirare gli scatoloni dei voti, sostituendoli con altri scatoloni pieni di schede già segnate».
Per fortuna tra i parenti di Raafat nessuna vittima: «La mia famiglia - racconta - ha una fattoria in campagna con degli animali. Sono arrivati una ventina di uomini armati e hanno portato via molti capi di bestiame. Non hanno potuto reagire, li avrebbero uccisi. Un parente disabile di amici che vivono a Milano è stato derubato e ucciso nel suo appartamento. Ci hanno raccontato che nel Museo Egizio del Cairo, tra i vandali che rubavano hanno sorpreso agenti della polizia segreta. Mubarak è stato troppo al potere e cambiare è necessario. Il problema è che i ladroni sono scappati con i loro aerei privati».
Sherif Fares, 31 anni, lavora a Roma e per la rete G2 dei giovani si seconda generazione si occupa di social network: «Sono stati gli studenti a innescare la rivolta, perché il grosso della popolazione sembrava rassegnata - racconta Sherif - La rete è stata fondamentale perché ha permesso di rilanciare tra i giovani egiziani l'esempio che veniva dalla Tunisia, tanto che il regime ha immediatamente tagliato la possibilità di comunicare con internet. È in atto una censura con metodi cinesi». Solo due settimane fa, Sherif era in visita ai suoi parenti in Egitto: «Ad Alessandria si respirava ancora una certa tensione per l'attentato di capodanno alla cattedrale copto-ortodossa - racconta - Che qualcosa dovesse succedere era nell'aria: ogni volta che tornavo in visita in Egitto vedevo che la rabbia era cresciuta».