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Sawiris: «Non è l'Iran, nasce la vera democrazia»

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 07:59.

Mister Sawiris, scusi il disturbo in un momento come questo... «No, no, nessun disturbo, non ho niente da fare: guardo la televisione e cerco di restare informato. Non c'è uomo d'affari che abbia qualcosa da fare, di questi giorni in Egitto».

La voce al telefono è in effetti molto rilassata. Come se all'uomo più ricco d'Egitto, al primo businessman locale che ha usato la globalizzazione al contrario (andando lui a comprare imprese all'estero), non fare affari interessasse relativamente. «No, m'interessa, ma è il prezzo della democrazia, che pago con piacere». Naguib Sawiris, 56 anni, è uno di quegli imprenditori arabi che sa pensare in grande senza possedere pozzi petroliferi, e che pensa fuori dagli schemi: come cinque anni fa, quando annusò un nuovo affare e lo fece. Anche se l'impresa di telecomunicazioni della quale aveva rilevato il 10% delle quote era a Tel Aviv e i 150 milioni di dollari sborsati, il più grande investimento mai fatto da un uomo d'affari arabo in Israele.

È un momento storico in Egitto. L'era Mubarak sembra finita. «Sì, di certo», risponde il presidente esecutivo di Orascom e Wind Telecom e in Italia di Wind Telecomunicazioni. Senza possibilità di ripescaggio?
È decisamente finita. Provo imbarazzo per lui. Mubarak non è Ben Ali. È parte della storia egiziana: ha combattuto nella guerra d'ottobre (la guerra del 1973 che gli israeliani chiamano del Kippur, ndr), ha riconquistato il Sinai, ha fermato l'Islam estremo. In questi anni l'Egitto è economicamente cresciuto. Se accetterà di andarsene l'esercito lo proteggerà, se rifiuta sarà un milione di egiziani a cacciarlo.

Il sistema gli sopravvivrà o sta per nascere un nuovo Egitto?
Nemmeno il sistema di prima può sopravvivere. Ne abbiamo abbastanza di finta democrazia.

Che democrazia sta per nascere?
Quella vera, quella che prevede elezioni reali, il diritto di parlare, la fine delle interferenze delle forze di sicurezza. Democrazia come in Europa. Perché noi no? Siamo diversi da voi?
Non potrebbero prendere il sopravvento i Fratelli Musulmani?
No, questa non è una rivoluzione islamica, non è un altro Iran. È la rivoluzione di internet, di una nuova generazione. Tutti i figli dei miei amici ricchi sono scesi in piazza. I Fratelli Musulmani hanno cercato di dirottare la protesta ma non ci sono riusciti.

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Tags Correlati: Ben Ali | Italia | Medio Oriente | Mubarak | Naguib Sawiris | Orascom | Pope Shenouda | Sinai | Telecomunicazioni | Wind Telecom

 

E i figli dei poveri che sono 60 milioni? Ci sono anche loro?
Sono il frutto di un problema economico che non è stato risolto in 30 anni... Guardi, sono due le questioni in gioco: il benessere economico e la libertà. Qualcuno è in piazza perché vuole lavoro, la maggioranza per la democrazia: un parlamento e un presidente eletti.

È Mohamed ElBaradei il candidato?
È un buon candidato: è laico, sa come si governa. Con lui il business troverebbe un interlocutore.

E lei? Qualche tempo fa aveva ambizioni politiche.
Ho due difetti fondamentali per fare politica in Egitto: sono molto ricco e cristiano copto.
Non per scelta ma per necessità, le minoranze cristiane tendono a sostenere i regimi in carica. Il nostro Pope Shenouda sfortunatamente ha fatto una dichiarazione di sostegno a Mubarak. Ma io non ho paura dei cambiamenti. Ne avrei avuta se avessero vinto gli islamici: non so se alla fine non vinceranno, so che fino ad ora non ci sono riusciti. E non ci riusciranno perché non lo permetterebbero mai i dimostranti.

Quali sono gli effetti sull'economia?
Siamo fermi, completamente. È la libertà e tutti devono pagare un prezzo. Qualcuno dice che tutto questo sta costando l'80% del Pil egiziano. Fesserie, è una cifra esagerata. Forse il 10 per cento.

Non teme che gli investimenti stranieri si fermeranno?
Secondo lei perché cinque anni fa ho deciso d'investire in Italia? Certo, è un paese che amo ma questo non è abbastanza per metterci dei soldi. L'ho fatto perché è un paese democratico e un imprenditore investe dove c'è democrazia. In Occidente dovete capire che qui è iniziata una nuova era, il Medio Oriente diventerà come l'Europa. Non vi dovete preoccupare per l'Islam, di Iran ne è bastato uno. È vostro interesse aiutare la nostra transizione.
L'economia in questi anni funzionava ma gli egiziani non ne hanno sentito i benefici.
Perché parallelamente alle riforme economiche non c'erano quelle politiche. E il sistema non produceva giovani adatti a ciò che chiedeva il mondo del lavoro: migliaia di letterati, ingegneri ed economisti di livello mediocre ma niente tecnici, meccanici, idraulici.

Anche lei è l'élite, non si sente un po' responsabile?
Quasi tutti gli uomini d'affari hanno lasciato il Paese, io ero a Parigi e sono tornato. La gente sa che quando Mubarak ha cercato di cooptarmi ho detto di no. La mia famiglia è il più grande datore di lavoro privato in Egitto: 120mila persone. Io sono il primo contribuente, il secondo è mio fratello. Se c'è un businessman che gli egiziani apprezzano, quello sono io.

Quando tornerà al «business as usual»?
Tra quattro-otto settimane. Il tempo che si faccia un nuovo governo. Poi tornerà tutto tranquillo.

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