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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 07:37.
Alla fine del vertice tra lo stato maggiore della Lega e Silvio Berlusconi la decisione è presa: si va avanti, niente voto. Almeno per ora. Il no della commissione bicamerale al federalismo aveva rilanciato l'ipotesi di un ritorno rapido alle urne. Il premier ne era consapevole e all'irritazione del Carroccio ha reagito con una controffensiva: «Facciamo subito il consiglio dei ministri e diamo il via libera al decreto». La notizia viene pubblicizzata però solo dopo il voto sul caso Ruby. Il premier incassa il sì della Camera senza presentarsi in aula e poco dopo arriva a Palazzo Chigi per presiedere il Cdm.
Una strategia che mette in conto anche la probabile irritazione del Quirinale. Che puntualmente arriva e non può essere sottovalutata, visto che al capo dello stato spetta dare il via libera definitiva al provvedimento. La scelta di convocare a sorpresa un consiglio dei ministri per dare il via libera al decreto stride infatti con i consensi manifestati solo il giorno prima dal premier all'invito del capo dello stato a superare le contrapposizioni. Ma la forzatura era necessaria al Cavaliere per evitare che nel Carroccio montasse la rabbia.
La Lega non è più un monolite. E forse non è un caso che ieri Roberto Maroni, anzichè sedersi in aula ai banchi del governo, abbia preferito prendere posto tra gli scranni dei del Carroccio. «Non ci sono spaccature solo divergenze di opinioni», minimizzava ieri in Transatlantico Roberto Castelli. Non è infatti un mistero che il ministro dell'Interno sia il principale sponsor di un rapido ritorno al voto. È stato lui nei giorni scorsi a sottolineare la gravità di un eventuale voto negativo della bicamerale. Il timore di rimanere logorati, di perdere i consensi faticosamente conquistati è la principale preoccupazione. Ma Bossi ha deciso che non è ancora giunto il momento e non è escluso che, in questa scelta, pesi non poco anche una riflessione sulla corsa per la sua successione alla guida del Carroccio.
«Si è vinta una battaglia non una guerra», spiegava ieri un parlamentare in cravatta verde. La strada per arrivare al varo definitivo della riforma è infatti ancora lunga. Il Carroccio ha tentato in tutti i modi di giungere a un accordo con l'opposizione e in particolare con il terzo-polo di Fini e Casini con i quali i contatti sono stati continui anche ieri. Il leader della Lega prima del voto della bicameralina ha incontrato Fini per tentare in extremis di ottenere il sì del finiano Mario Baldassarri. L'ipotesi di un'astensione circolava già da martedì a Palazzo Madama. Le indiscrezioni raccontano che il Senatur si sarebbe spinto a proporre all'ex alleato un ritorno in maggioranza per un patto di legislatura. Fini però avrebbe ripetuto che senza un passo indietro di Berlusconi la strada non era percorribile ribadendo il «no». E lo stesso ha fatto Casini nei suoi colloqui con gli esponenti del Carroccio (ieri sera alla Camera il leader dell'Udc si è intrattenuto per diversi minuti con Maroni).