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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 07:38.
«Questo è il paese dei gattopardi. Il nostro riformismo, che è l'unica proposta nuova generata negli ultimi trent'anni dalle vene del paese, in bicamerale non ce l'ha fatta. E dispiace, perché riguarda tutti gli italiani. Per fortuna che, poi, il governo ha approvato il decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale».
Attilio Fontana, sindaco di Varese e maroniano doc, per una volta dismette il linguaggio piano da avvocato e attinge all'immaginario letterario, per raccontare lo strano giorno di dolore e di sollievo della sua Lega. Cita Tomasi di Lampedusa, ma anche Eduardo Galeano, perché tolta la crosta dei luoghi comuni il profondo nord segnato dal blocco sociale leghista, valli e Pianura Padana, cassintegrazione e export, fabbriche di ultranicchia e solitudini da famiglia Perego di Antonio Albanese, ha una enigmaticità da luogo lontano. Una cosa è certa: anche se il governo ha poi approvato il decreto sul fisco municipale, resta la "ferita politica". E l'idea che un progetto complessivo di una vera riforma dello Stato in senso federalista, condiviso dalla maggioranza delle forze politiche, mantenga i contorni del miraggio.
Ieri, in ogni caso, è stato segnato un punto in una storia iniziata oltre trent'anni fa. La nascita nel 1979. La progressiva fusione dei diversi movimenti autonomistici con una egemonia dei lombardi mai accettata fino in fondo dai veneti e dai piemontesi. I manifesti che rappresentano il nord alla stregua della gallina delle uova d'oro, in una fase che costruisce l'idea di una comunità settentrionale secondo un profilo economico-produttivo. Alla fine degli anni Ottanta, l'ulteriore passo in avanti con l'etno-nazionalismo, la nazione fondata su base etnica e la mitopoietica dell'ampolla e del Dio Po. Molti ne ridono. Nell'establishment e nei partiti tradizionali. Mentre sta accumulando energia l'onda di Tangentopoli che presto cambierà i connotati del paesaggio politico italiano.
Nel 1992 gli stessi, dei leghisti, rideranno un po' meno. Intanto, si intensifica il dialogo di Gianfranco Miglio, Umberto Bossi e Giuseppe Leoni con i federalisti europei, intellettuali di lingua francese quali Denis de Rougemont e Guy Héraud radunati intorno alla rivista Ordre Nouveau. E, poi, ecco arrivare i successi sulle macerie della Prima Repubblica. «Abbiamo messo molta passione in tutti questi anni», racconta con semplicità Angelo Daverio, uno dei fondatori della Lega Nord a Varese, la capitale del movimento, un uomo che ha passato tanta parte del suo tempo libero con "l'Umberto" (Bossi) e con "il Bobo" (Maroni). Daverio, che oggi è un pensionato di 74 anni, non ha mai provato a trasformare la militanza in lavoro politico professionale. Dal basso delle sezioni ha assistito ad altri passaggi complessi nella storia del Carroccio: l'arrocco al nord con tinte secessioniste fra 1996 e 1999 e la bocciatura della "devolution" nel 2006. «Siamo felici, ma resta un po' di arrabbiatura», dice Daverio, anche se il termine che usa è più colorito. Rabbia, con un senso di sollievo in tarda serata. «Comunque sia il risultato in commissione, dove il vecchio giochino romano della contingenza del caso di Rubyrubacuori aveva schiacciato la portata strategica del nostro progetto, allontana un poco il nord dal paese», taglia corto Giacomo Giovannini, segretario di Reggio Emilia.