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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2011 alle ore 09:26.
Quale Egitto avremo dopo questa crisi? Lo scenario più apocalittico, "all'iraniana", traccia un parallelo tra l'Egitto di Mubarak e l'Iran dello scià che nel 1979 fu travolto dalla rivoluzione islamica. Se Mubarak cade, i Fratelli Musulmani prenderanno il potere. In questo scenario si assegna alla Fratellanza una forza paragonabile a quella del movimento creato da Khomeini.
Il capo dei musulmani in Egitto, Mohammed Badia, che ho incontrato mentre prendeva un taxi dietro piazza Tahrir, non possiede neppure lontanamente il carisma e l'influenza di Khomeini: è un conservatore che ha vinto di misura le elezioni a segretario generale contro la corrente più moderata dei quaranta-cinquantenni. L'ayatollah Khomeini non si faceva eleggere da nessuno.
Il vice di Badia, Mohammed Bayoumi, è un pingue professore universitario in giacca e cravatta. I dirigenti sono medici, ingegneri, insegnanti, e rispecchiano una società composita costituita da una borghesia religiosa dove ci sono sia i conservatori che i progressisti. Gli Ikwan, i Fratelli, hanno una forte penetrazione nel sociale, sono la forza di opposizione più organizzata e forse un giorno potrebbero anche prendere la maggioranza.
Ma per loro il primo passo è quello di essere riconosciuti: ufficialmente sono fuorilegge dal 1954. Nel 2005 hanno avuto un quinto dei seggi in Parlamento eletti in liste indipendenti, alla tornata del novembre scorso, per i brogli del partito di Mubarak, sono finiti fuori insieme a tutta l'opposizione.
Nella rivolta popolare all'inizio hanno avuto un ruolo secondario, diventato di primo piano quando si è trattato di occupare e tenere la piazza Tahrir. Ma questa piazza non è tutto l'Egitto. In elezioni regolari si stima che oggi potrebbero avere un seguito del 20-30 per cento.
Il secondo scenario è quello "alla turca". I militari sostituiscono Mubarak, passano la presidenza a Omar Suleiman e negoziano con gli oppositori una transizione pacifica. Il modello turco è quello dove i musulmani dell'Akp di Erdogan hanno abilmente sfruttato le riforme democratiche per indebolire i generali, custodi dello stato laico, e vincere le elezioni senza però sgretolare i fondamenti della repubblica ereditata da Ataturk. Questo scenario è più accettabile ma l'Egitto non ha mai avuto un Ataturk. Il più laico dei suoi presidenti, che impiccava i radicali islamici, il colonnello socialista Nasser, è defunto quarant'anni fa seguito da presidenti che non hanno modernizzato le strutture amministrative del paese.