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Bersani: l'8 marzo 10 milioni di firme contro Berlusconi

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2011 alle ore 08:14.


ROMA
C'è il passaggio sul federalismo – che la Lega «solo con il Pd riuscirà a fare, non con Berlusconi» – quello sul premier che deve andare a casa, ma il più applaudito è quello sulle donne. «Noi rispettiamo le nostre mogli e figlie e non accettiamo che siano comprate o vendute». Qui scatta la standing ovation, tutti in piedi contro le feste di Arcore. Ma è anche grazie a quelle feste che l'8 marzo, festa della donna, entra nella liturgia democratica come giorno della riscossa. In quella data infatti davanti a Palazzo Chigi «porteremo dieci milioni di firme, dieci milioni di vai a casa per Berlusconi», scandisce il leader del Pd, Pierluigi Bersani.
Il suo discorso è breve, un prologo a quello che sarà oggi, seconda giornata di quest'assemblea nazionale del Pd sempre meno frequentata da quei più di mille delegati che ne fanno parte. L'analisi del segretario la seguono anche i big e tutti la condividono. Del resto, l'ora è grave e si sta compatti. I punti sono gli stessi: Silvio Berlusconi deve dare le dimissioni e se la crisi politica precipiterà verso le elezioni il Pd cercherà di stringere un patto di tutte le opposizioni per gestire una fase costituente. «Chi ignora questa emergenza democratica la aggrava», dice dal palco il leader che chiama in causa tutte le classi dirigenti, oltre che la politica, per alzare la voce. «Chi tace ora non so come farà a parlare domani», è la chiamata del segretario che non molla la presa sulla Lega per offrirgli un «federalismo senza Berlusconi perché con lui farete altro: a lui interessano i vostri voti per fare il processo breve o difendere la cricca di Roma».
L'esca per le altre opposizioni – Casini, Fini e Rutelli – per chiamarle a un'alleanza di tutti contro il premier è il Quirinale, o meglio la paura che il Cavaliere possa arrivare anche lì. Ed è il messaggio che lancia anche ai Radicali salvo poi beccarsi una replica di Marco Pannella che diventa la più incisiva della giornata. «Rispondo subito alla pubblica ingiunzione del compagno Bersani. Sull'eventualità di una presidenza della Repubblica di Berlusconi penso quel che penso della purtroppo sempiterna e attuale presidenza della regione Lombardia dell'ascetico satrapo Roberto Formigoni. Però – prosegue Pannella – se gli capitasse una seconda volta di rivolgersi a noi, si faccia prima uno spinello o, carduccianamente, segua l'invito a farsi un bel bicchier di vino». Il tono irriverente stride con una giornata in cui i toni erano invece drammatici, da emergenza democratica. Anche sul lato della comunicazione per i «Tg di regime come non si vedono nemmeno in Corea del Nord».

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Tags Correlati: Casini | Concorrenza | Gianfranco Fini | Ignazio Marino | Lega | Lombardia | Marco Pannella | Massimo D'Alema | Partito Radicale | PCI | Pd | Prodi | Radio24 | Roberto Formigoni | Sergio Chiamparino | Silvio Berlusconi

 

Ma il cuore del suo intervento, quello che è più nelle corde del segretario, tocca l'economia: ovvero il male italiano di una crescita azzerata e di una disoccupazione che cresce mentre il federalismo sposta il dibattito su altro. «In realtà è il federalismo una patrimoniale, per non parlare del mitico piano casa o del piano Sud fatto senza stanziare un euro in più». Il Pd invece la patrimoniale «non l'ha mai proposta così come non abbiamo mai sentito un imprenditore lamentarsi per l'art. 41: noi scriveremo 41 articoli su liberalizzazioni e semplificazioni». Oggi, in assemblea, sarà la giornata del programma in 10 punti con un'assenza che crea la polemica di giornata: i diritti civili, dalle coppie di fatto alla bioetica. E proprio sulle unioni che nasce il "caso" per un ordine del giorno firmato da Ignazio Marino e Massimo D'Alema ma anche da Sergio Chiamparino. «Il tema è stato all'ordine del giorno del governo Prodi. Su questo tema l'Ue ci invita a legiferare da tempo. La stessa Bindi ha ricordato che il Pd avvierà un gruppo di lavoro su laicità e diritti. Quel testo può essere un contributo alla ricerca di una posizione condivisa», faceva sapere in una nota, Massimo D'Alema motivando la sua firma tra le 66. Ma i cattolici popolari, o almeno parte di essi, si mettono subito dalla parte opposta. «La penso diversamente e non è un reato visto che c'è la libertà di coscienza», diceva Beppe Fioroni. Ma la vera curiosità è come si farà a coniugare l'alleanza con Casini con il tema delle coppie di fatto: la domanda resta sospesa nell'aria.
A guastare la giornata e il rituale ci si mette, al solito, Matteo Renzi. «Se il Pd facesse una raccolta di firme in meno e una raccolta di idee in più sarebbe quasi meglio, no?». La domanda retorica è stata lanciata dalle frequenze di Radio 24 così come l'annuncio che la firma di Renzi ci sarà «anche se non me ne frega niente, Berlusconi non andrà a casa per questo». E cadeva proprio bene, ieri, una battuta di D'Alema proprio sul ricambio generazionale bollato come «finto tema visto che nel Pci se avevi gli attributi emergevi anche se avevi ventotto anni». Naturalmente i 28 anni erano di D'Alema insieme agli attributi. Chissà se anche Renzi rientra nella categoria.
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