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Mubarak tradito dalle sue riforme

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 13:50.
L'ultima modifica è del 06 febbraio 2011 alle ore 15:29.

«L'economia dell'Egitto ha resistito bene alla crisi….Le profonde riforme adottate fin dal 2004 hanno ridotto la vulnerabilità fiscale e monetaria. Lo sviluppo economico è stato superiore alle attese… La fiducia degli investitori è aumentata, la Borsa si è ripresa, così come i flussi di capitale, e le riserve internazionali appaiono in crescita…». Si tratta di alcune delle conclusioni contenute nel rapporto di valutazione del Fondo monetario internazionale sull'Egitto, presentate a marzo dello scorso anno. Ancor prima, la Banca mondiale aveva collocato l'Egitto al primo posto tra i paesi che stavano riformando le proprie economie. È evidente che le riforme non sono servite molto a Hosni Mubarak. Al contrario, hanno contribuito alla sua caduta. Com'è possibile? Tra le tante, due ragioni sono particolarmente rilevanti: la crisi mondiale e la corruzione. La crisi ha frenato la crescita dell'Egitto, riducendo i vantaggi che la popolazione, seppur lentamente, iniziava a percepire grazie a questi cambiamenti.

Tuttavia, a rivelarsi cruciale è stata la corruzione dilagante, ampiamente tollerata da Mubarak, che ha fatto sì che il popolo percepisse le riforme economiche come l'ulteriore trappola messa in atto da un governo che aveva cura dei ricchi e ignorava i poveri.
Da tutto ciò si può trarre un importante insegnamento per l'Egitto del futuro. Se le riforme del 2004 non verranno approfondite e ampliate, l'economia del paese non avrà alcuna speranza di creare i posti di lavoro necessari per offrire un'occupazione alla sua crescente popolazione giovanile. Ma parlare di riforme («come quelle di Mubarak!»), e soprattutto metterle in pratica, saranno pillole difficili da inghiottire per i leader che verranno. E sarà proprio la tensione tra impopolari riforme economiche e l'impazienza della gente a plasmare il futuro del grande paese arabo.

I prossimi giorni e mesi saranno sicuramente molto importanti. Ma altrettanto importanti, seppure molto più incerti, saranno i primi anni del post-Mubarak. Il governo provvisorio ormai imminente, che sicuramente riceverà l'appoggio dei militari e sarà composto da rappresentanti di diverse forze politiche, dovrà ripristinare la sicurezza dei cittadini, restituire la calma nelle strade e organizzare le elezioni.

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Tags Correlati: Banca Mondiale | Borsa Valori | Congiuntura | Egitto | Fmi | Graziella Filipuzzi | Hosni Mubarak |

 

Con molta probabilità, nei prossimi mesi gli egiziani entreranno in contatto con libertà e diritti fino ad ora sconosciuti. Nel corso di questa "luna di miele democratica" si assisterà al proliferare di nuovi leader, gruppi politici, mezzi di comunicazione e proposte alternative. E ci saranno sorprese: i Fratelli Musulmani, ad esempio, scopriranno che reclutare simpatizzanti pronti a competere con attraenti rivali politici che rifiutano il loro modello teocratico è paradossalmente molto più difficile che reclutare oppositori contro l'opprimente regime di Mubarak.

La speranza è che, terminata questa fase di transizione, salga al potere un presidente scelto grazie alle elezioni più libere e corrette mai tenutesi in Egitto. Il nuovo governo si troverà ad affrontare non soltanto una complicata matassa di restrizioni (economiche, politiche, istituzionali, internazionali), ma anche numerosi gruppi capaci di rifiutare od ostacolare le sue iniziative. Questo scenario, che contempla la possibilità di una stagnazione economica, mi porta nuovamente alla tematica delle riforme economiche, della corruzione e delle aspettative popolari.

In quelle dittature dove la corruzione delle più alte sfere è così oscena e tangibile come lo è la povertà della gran parte della popolazione, la supposizione generale è che l'uscita di scena delle élite corrotte porti quasi automaticamente a migliorare la situazione dei più poveri. È comune supporre che "il paese è ricco" e che, se soltanto i potenti e il loro seguito smettessero di rubare, quasi automaticamente ci sarebbe più benessere per tutti. Ovviamente ciò non corrisponde alla realtà, e gli sforzi per ridurre la povertà e attenuare le diseguaglianze tardano nel produrre quei risultati che la società spera ed esige una volta rovesciato il tiranno. Di fatto, la convinzione che i governi che succederanno a quello attuale possano ridurre i mali ereditati da Mubarak in tempi rapidi costituirà un'importantissima fonte di instabilità politica. Una nazione che scopre dopo trent'anni di poter essere la protagonista di grandi cambiamenti è una popolazione che non aspetterà più pazientemente nelle proprie case i risultati delle politiche governative. Piuttosto, uscirà nelle piazze a esigerli.

Non è detto che questa impazienza popolare debba crescere fino a minacciare la nascente democrazia egiziana. Per evitare che la frustrazione dei cittadini fomenti le ideologie di populisti, demagoghi e fondamentalisti, il governo dovrà dimostrare con i fatti che le riforme economiche hanno l'obiettivo di favorire la popolazione e non di arricchire i soliti corrotti. Ciò richiede che le riforme siano accompagnate da una lotta diretta alla corruzione. Si tratta di una lotta che non soltanto è giusta, ma rappresenta il requisito indispensabile per disporre del tempo necessario per ottenere i primi risultati.
(Traduzione di Graziella Filipuzzi)
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