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Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2011 alle ore 13:40.
PARIGI - «L'Europa inizia questo 2011 in una condizione di grande vulnerabilità, sommando i rischi dei debiti sovrani alla perdurante fragilità del suo sistema bancario, tuttora pericolosamente sottocapitalizzato, e alle gravi carenze di competitività del suo sistema economico. In questo contesto generale la Francia è in una posizione particolarmente delicata e difficile. Disperare è sempre sbagliato, ma è sbagliato anche pensare che non è mai troppo tardi. La mondializzazione è sopravvissuta alla crisi, che ci ha consegnato un mondo dagli equilibri sconvolti. Questa volta se non ci muoviamo in fretta rischia davvero di essere troppo tardi». Nicolas Baverez è un animale strano, almeno per la Francia. Storico ed economista, ha frequentato l'Ena, dove adesso insegna, ed è quindi entrato alla Corte dei conti. Che ha lasciato ben presto per passare al settore privato. Avvocato d'affari, è socio dello studio Gibson, Dunn & Crutcher, il maggiore della costa ovest americana. Seguace di Raymond Aron, saggista di rango, è un liberal-liberista, con analisi che vengono abitualmente catalogate come «pessimiste e decliniste» e che lui preferisce definire «realiste».
Partiamo dall'Europa.
«Ci sono in realtà tre Europe. La prima comprende Germania, Austria, Olanda e parte dei paesi scandinavi e va abbastanza bene, anche se la Germania deve fare i conti con i problemi demografici e un sistema bancario tutt'altro che risanato. La seconda è quella della sponda Sud, Spagna e Irlanda comprese, in profonda crisi. Della terza, più vicina al secondo gruppo che al primo, fanno parte Italia, Belgio e Francia. È evidente che bisogna riprendere al più presto il cammino dell'integrazione economica, finanziaria e politica, che abbiamo di fatto abbandonato».
La Francia sembra in preda a una sorta di ossessione tedesca.
«È vero. D'altronde la Francia, quando è in difficoltà, ha sempre guardato alla Germania, con un misto di ammirazione e di timore. Oggi c'è la presa di coscienza d'un lato del divario economico e politico crescente tra le due sponde del Reno e dall'altro del fatto che la Francia, con il debito all'88% del Pil, non è sotto attacco da parte dei mercati solo perché c'è in qualche modo una garanzia tedesca, della quale oggi in Europa nessuno può fare a meno. Purtroppo questa ossessione per il modello tedesco c'è solo a parole. La Germania esce da dieci anni in cui c'è stato un trasferimento annuo pari al 3-4% del Pil dalle famiglie verso le imprese, mentre Parigi continua a finanziare i consumi».