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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2011 alle ore 06:38.
RAMALLAH. Dal nostro inviato
«Se vedi un'auto pubblica usata per scopi privati, chiama questo numero», dice il manifesto. È difficile non vederlo, entrando in Palestina che non è ancora uno stato, attraverso il valico israeliano di Khalandia che invece assomiglia sempre di più a una frontiera. Lo hanno affisso quelli di Aman, un'organizzazione non governativa che da anni cerca e denuncia la corruzione nell'Autorità palestinese.
Al Cairo non s'è mai visto un manifesto del genere. Nemmeno questa differenza sostanziale ha tuttavia potuto fermare lo spirito che viene da piazza al Tahrir. Nell'equivalente di Ramallah, al Manara, la piazza dei Leoni, la settimana scorsa qualche decina di giovani aveva tentato una manifestazione di "solidarietà col popolo egiziano", approfittandone per lanciare qualche slogan contro Abu Mazen, associato come rais a Mubarak. Entrambe le volte la polizia palestinese è intervenuta con durezza: bastonate a destra e sinistra e qualche arresto. Una specie di riflesso condizionato dell'autorità in divisa, quaggiù.
«Deplorevole» ammette Ghassan Khatib, ministro portavoce del governo di Salam Fayyad. «La reazione della polizia è stata inaccettabile. Il nostro problema in Palestina è che non c'è nessuno che abbia piena legittimità». Il mandato presidenziale di Abu Mazen è spirato, così come quello del Parlamento. E di conseguenza nessuna assemblea ha eletto il premier Salam Fayyad e il suo esecutivo. La semi-guerra civile tra Fatah che domina in Cisgiordania e Hamas a Gaza, impedisce la convocazione di nuove elezioni politiche. Solo quelle municipali forse si svolgeranno il 9 luglio, come spera lo stesso Khatib. «Il solo potere che in Palestina viene esercitato è quello esecutivo e questo, a lungo termine, non è sano, impedisce un controllo reale e trasparente», prosegue Khatib.
Dopo le due manifestazioni finite male, il governo ne ha autorizzata una terza sabato, ordinando alla polizia di stare a distanza. Vi hanno anche partecipato Khatib e qualche altro ministro. Per cosa protestano i palestinesi della Cisgiordania? Per definizione, possono protestare contro uno stato che nemmeno esiste? Prostrata da un'occupazione senza fine, confortata da una crescita economica robusta, in Cisgiordania la gente ha accettato la strada moderata di Fayyad: puntare sulle istituzioni di uno stato in divenire e non sulla resistenza armata. Fino alla fine dell'anno, quando Barack Obama ha promesso che uno stato palestinese ci sarà, la fiducia resta. Se anche questa aspettativa si trasformerà in aria fritta, le cose cambieranno. Per il momento non c'è nulla che la gente possa fare per influenzare il processo di pace.