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Questo articolo è stato pubblicato il 10 febbraio 2011 alle ore 08:35.
L'ultima modifica è del 10 febbraio 2011 alle ore 06:44.
Se alla fine degli anni 50, nella Cina chiusa, una gravissima carestia provocò decine di milioni di morti per fame, quest'anno, con una Cina aperta e molto più ricca, un'altra attesa grave carestia potrebbe avere impatti internazionali più che interni. La produzione a giugno potrebbe crollare e in tutto il 2011 i raccolti potrebbero scendere di 4 milioni di tonnellate rispetto ai 114,5 del 2010, già in flessione dai 115,1 milioni dell'anno precedente. Pechino è il maggiore produttore di cereali e consumatore sempre più importante, per circa il 17% del totale globale, a fronte di una popolazione di circa il 22% di quella mondiale.
E la carestia cinese si va ad aggiungere alle difficoltà nei raccolti in Canada e Russia, altri grandi produttori.
Per la Cina il maggior ricorso alle importazioni alimentari è certamente questione grave ma ha anche un vantaggio politico. I cereali seminati negli Stati Uniti (tra i maggiori esportatori), potrebbero aiutare a riequilibrare quest'anno la bilancia commerciale bilaterale, contribuendo quindi a sciogliere le tensioni economiche e monetarie tra i due paesi. La Cina, con oltre 2.700 miliardi di dollari di riserve e un surplus commerciale che nel 2010 è stato del 6,6%, può certamente pagarsi il conto alimentare.
Il timore interno riguarda l'inflazione. L'indice dei prezzi dei prodotti alimentari nel 2010 è salito del 7,2%: un ulteriore aumento, che si prevede nel primo trimestre possa arrivare anche all'8%, potrebbe togliere alle classi più povere i vantaggi della crescita economica complessiva. Che l'anno scorso, come in media ogni anno da oltre trent'anni, si è aggirata intorno al 10%. L'inflazione oltre il 10% potrebbe accendere tensioni sociali e politiche in un anno molto delicato di preparazione al congresso del partito del 2012, quando l'attuale presidente Hu Jintao dovrebbe andare in pensione per far posto al suo successore designato Xi Jinping. Perciò il governo vuole frenare l'inflazione con urgenza, raffreddando complessivamente la crescita.
U n segnale è stato lunedì il nuovo rialzo dei tassi d'interesse, al 6,06%, il quarto in pochi mesi.
Non è poi chiaro quanto questa frenata cinese possa influire sulla crescita economica globale. Negli ultimi due anni la Cina ha trainato lo sviluppo economico del mondo, e in America l'anno scorso ci sono stati i primi segnali di un'uscita dalla recessione, è quindi possibile che una brusca frenata cinese possa avere un impatto sulla ripresa negli Usa e globale.