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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2011 alle ore 11:47.
Con un comunicato trasmesso in diretta dalla televisione di stato, il Consiglio supremo delle forze armate egiziane ha intimato il «ritorno alla normalità» nel paese, dove oggi si stanno tenendo nuove manifestazioni contro il regime del presidente Hosni Mubarak per il diciottesimo giorno di fila. I vertici militari s'impegnano peraltro a «revocare lo stato di emergenza», in vigore in Egitto da trent'anni, ma solo «non appena saranno terminate le attuali circostanze», cioè quando la rivolta avrà fine. L'esercito riconosce il trapasso dei poteri presidenziali da Hosni Mubarak al suo vice, generale Omar Suleiman, ma si propone anche come «garante» degli emendamenti costituzionali promessi da Mubarak, e assicura che «garantirà lo svolgimento di elezioni libere e corrette». Infine i militari sottolineano che non saranno perseguiti i «cittadini che hanno respinto la corruzione e chiesto le riforme istituzionali».
Da parte sua, il leader dell'opposizione egiziana Mohamed ElBaradei, in un intervento sul New York Times, ha chiesto di sciogliere il parlamento e di cancellare la costituzione «diventata strumento di repressione». All'Egitto - prosegue ElBaradei - servono una «costituzione provvisoria, un consiglio presidenziale di tre persone - fra cui un esponente dell'esercito - e un governo transitorio di unità nazionale». Ora, secondo il Nobel per la pace è necessaria «una transizione di potere pacifica e ordinata, che incanali il fervore rivoluzionario in passi concreti per un nuovo Egitto fondato sulla libertà e la giustizia sociale». L'ex numero uno dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica elenca le tappe fondamentali di questo cammino: «La stesura di una costituzione democratica da sottoporre (al popolo) attraverso un referendum, e i preparativi per elezioni presidenziali e politiche giuste e libere entro un anno».