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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2011 alle ore 09:32.
Con la caduta del muro di Berlino, nel 1989, uno dopo l'altro cadevano i regimi totalitari comunisti. Nell'Europa orientale la storia cambiava il suo ordine. Certo, c'era stato Gorbaciov, la perestrojka e la glasnost, e sotto l'effetto di una vera e propria implosione quegli stati cadevano uno dopo l'altro, annullando la potenza dei carri armati e delle polizie segrete.
Il mondo arabo sembra rispondere a quell'appello oltre vent'anni dopo. Ma non ha avuto nessun Gorbaciov, nessuna perestrojka, nessuna glasnost è apparsa all'orizzonte: solo guerre senza fine. Certo, si sono avute timide riforme, c'è stata la conferenza di Barcellona per avviare una sinergia euro mediterranea, ma si è tradotta in un fallimento quasi totale. Poi una guerra, la seconda guerra del Golfo, con l'idea di esportare la democrazia attraverso i missili.
E dopo questi incubi durati anni, in quello che può essere considerato il cuore culturale, intellettuale e politico del mondo arabo, qualcosa è avvenuto, qualcosa di cui non realizziamo ancora la portata. Se dovessi trovare un'immagine che traduca al meglio ciò che è il mondo arabo oggi, penserei a un'enorme partita a scacchi, in cui eserciti disarmati si sfidano l'un l'altro a colpi di parole: il regime contro la piazza. Negli scacchi, chi vince pronuncia la magica frase "Scacco matto": è un'espressione che viene dall'arabo (ma che gli arabi presero dai cinesi) e significa "Il re è morto", Sheikh el mat.
Ciò che succederà dopo non lo si può prevedere scientificamente; si è innescato un processo, un processo che sembra continuare e che mette in gioco l'equilibrio politico di quelli che, a occidente dell'oriente, abbiamo chiamato con diversi nomi. Sono i "regimi moderati": moderati solo per chi vive sulla sponda nord del Mediterraneo, perché la paura del fondamentalismo islamico è tale che li si è accettati come cinture di sicurezza; oggi constatiamo che tutto ciò è stato fatto a danno dell'emancipazione di quei popoli.
Molti si chiedono se ci sarà un effetto-domino. Io ritengo che ci sia già: perché nel mondo arabo, anche se diviso al suo interno, c'è sempre un moto che trascende i confini nazionali; e se ieri le celebri canzoni di Um Qaltum venivano cantate dal Cairo ad Algeri, oggi non è più il lirismo della musica araba che trascende le frontiere, ma sono le parole "popolo" e "democrazia". La gran parte dei governi arabi oggi trema, perché vede crollare sotto i propri occhi l'illusione di legittimità che li aveva fatti vivere per più generazioni. Dal Cairo a Gaza a Sana'a le scosse telluriche crescono di giorno in giorno. I governi lo sanno che questa è la storia, è un nuovo ciclo che si apre.