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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2011 alle ore 18:32.
Sobrietà. In economia, nei consumi, nella gestione aziendale, in politica. Il richiamo è arrivato da un convegno organizzato a Milano, e ispirato a un libro di Francesco Gesualdi, allievo di Don Milani, e fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano («Sobrietà è capacità di liberarsi dalla schiavitù del superfluo»). La discussione ha trovato concordi economisti, imprenditori, banchieri e politici, nel dire che quella parola dimenticata o messa da parte ritorna con tutto il suo peso nel periodo di crisi che stiamo vivendo. E ha bisogno di un recupero che vada oltre la pura speculazione. "Alla fine della crescita, la linea della sobrietà", dunque.
Ma dove passa questa linea? «Sono 10 anni che l'Italia è in decrescita: quando affrontiamo il problema dovremmo smetterla di ragionare solo in termini econometrici, ma considerando anzi tre dimensioni. Dove l'economia non può essere disgiunta dalla dimensione ambientale e da quella riguardante la soddisfazione di vita, la felicità. Occorre creare progresso, sì, ma in termini sostenibili», ha spiegato Leonardo Becchetti, professore di Economia Politica dell'Università di Tor Vergata. Il Pil pro capite non misura la felicità, insomma, perché a incidere sono anche le disuguaglianze e le relazioni sociali. «E la produttività si incrementa con la qualità di queste relazioni. Le società odierne sono ricche di denaro ma povere di relazioni: con i nostri parametri noi economisti misuriamo solo una parte del reale sviluppo».
Anche l'azienda richiede sobrietà. Di contro a un paradigma che spinge alla competitività sfrenata, al ritorno immediato, al "tutto subito", bisogna guardare alla "vita duratura". «Un concetto che può far inorridire i manager – è il parere di Maurizio Decastri, docente di Organizzazione Aziendale a Tor Vergata - ma che viene applicato con successo da diverse medie e grandi aziende italiane, non quotate. Accontentarsi oggi per pensare a domani. Un esempio? La Diesel di Renzo Rosso». E poi in azienda non serve fomentare l'individualismo sfrenato tra i dipendenti. «Le motivazioni intrinseche valgono più degli incentivi, del ritorno per merito. Non a caso si parla oggi di cittadinanza dell'azienda: l'aspettativa non è più solo di tipo economico, ma riguarda il piacere di lavorare e produrre risultati. Secondo alcuni l'etimologia di sobrietà è da individuare nel latino "sine ebrius", non ubriaco. Bene: l'azienda non deve essere ubriaca di individualismo, ma di valori».