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L'esercito egiziano rassicura il mondo: rispetteremo i trattati

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2011 alle ore 14:01.

IL CAIRO. La casta militare che comanda dal colpo di stato di Nasser nel '52 ama circondarsi dal segreto. Il nuovo uomo forte, il maresciallo Mohammed Hussein Tantawi, ministro della Difesa, capo del consiglio supremo delle forze armate, denuncia 75 anni ma secondo il dipartimento di stato americano ne avrebbe 82, è quasi coetaneo di Mubarak e come l'ex presidente esibisce una luccicante capigliatura corvina. Ha combattuto le guerre contro Israele ed è fermamente convinto, secondo Washington, che se ne debba evitare un'altra. Ora agisce come un capo di stato di fatto, incontra i ministri e convoca il governo.

Nel primo giorno senza Mubarak dopo 30 anni, i generali, chiamati a prendere le redini del potere sull'onda della rivolta popolare, non vogliono strappi. Il passo più significativo del «quarto comunicato» è stato dedicato ieri all'impegno del nuovo Egitto a «rispettare tutti i trattati internazionali e regionali». Rassicurazioni accolte con sollievo dal premier israeliano Benjamin Netanyahu che ha definito il trattato con il Cairo firmato da Sadat «una pietra miliare per la pace e la stabilità del Medio Oriente». Ma era difficile aspettarsi qualcosa di diverso, anche se forse Stati Uniti e Israele avrebbero preferito che Mubarak avesse trasferito subito il potere al vicepresidente Omar Suleiman, l'uomo che come capo dei servizi aveva in mano il dossier palestinese e collaborava intensamente con il Mossad.

Una garanzia in più per gli alleati dell'Egitto è l'altro uomo di primo piano, il capo di stato maggiore Sami Enan, molto apprezzato al Pentagono, che si trovava in America quando è esplosa la rivolta del 25 gennaio: al suo ritorno ha dichiarato con prontezza che la protesta era legittima, evitando che i soldati intervenissero contro i manifestanti. I rivoluzionari, che ieri ramazzavano piazza Tahrir e verniciavano i marciapiedi di fianco al Museo egizio, sono stati invece un po' delusi dai generali. Si aspettavano di sapere qualcosa di più su tempi e modi della transizione democratica. I militari non fanno cenno alla fine della legge di emergenza in vigore da 30 anni e lasciano in carica il governo del premier Ahmed Shafik per gestire gli affari correnti. Con molta cautela assicurano «di voler preparare il terreno a un potere civile eletto», senza sbilanciarsi.

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Tags Correlati: Ahmed Maher | Ahmed Shafik | Benjamin Netanyahu | Forze Armate | George Ishaq | Governo | Kifaya | Medio Oriente | Mohammed Hussein Tantawi | Mossad | Omar Suleiman | Sami Enan | Stati Uniti d'America

 

«Noi vogliamo un calendario, dei tempi, almeno di massima», dice George Ishaq, capo del movimento Kifaya, Basta, che si è riunito con tutta l'opposizione, Fratelli musulmani compresi, nel "parlamento parallelo" di piazza Talaat Harb, in un edificio sopra lo storico caffè Groppi, che è diventato una sorta di Palazzo Yacoubian dei politici egiziani: qui si tengono interminabili e fumose sessioni in un'aula tappezzata di velluto cremisi con gli scranni a emiciclo illuminati da monumentali lampadari di cristallo. C'e un'aria d'altri tempi: Groppi fa affari con the e caffè mentre il portinaio, assai scontroso, pretende la mancia per far salire i giornalisti al secondo piano. La rivoluzione non ha certo intaccato l'economia del bakshish che cerca di sopravvivere alle batoste di queste settimane.

I giovani barricadieri di piazza Tahrir temono che i militari gli portino via la rivoluzione. Per questo non vogliono andarsene dalla piazza e per difendere le loro conquiste hanno creato un “Consiglio di fiduciari” per monitorare le mosse dei militari. «Il Consiglio – dice Ahmed Maher, capo del movimento "Sei aprile" – avrà la prerogativa di convocare nuove manifestazioni e o di revocarle a seconda di come si evolverà la situazione». Per venerdì prossimo sono annunciate nuove adunate. In realtà ci sono spaccature nei gruppi politici: i giovani Fratelli musulmani, per esempio, vorrebbero continuare a presidiare la piazza, frenati dai leader più anziani del partito.

La rottura profonda e immediata con il regime di Mubarak non c'è stata, come era prevedibile. L'Egitto moderno è nato con il colpo di stato che fece fuori la monarchia di Faruk, è stato comunque guidato per oltre mezzo secolo dai generali e i militari sono stati decisivi nell'uscita di scena di Mubarak, che ora sembra sulla via dell'esilio, negli Emirati o verso l'Europa «per cure mediche». Le forze armate sono intervenute con un "golpe bianco" a sostegno della rivolta popolare ma non hanno nessuna intenzione di smantellare un regime dove hanno un ruolo centrale. Lo vogliono correggere, mettendo alla porta i più corrotti del comitato d'affari sostenuto dalla famiglia Mubarak. La rivoluzione, secondo i militari, può attendere e restare confinata tra piazza Tahrir e il novecentesco palazzo del caffè Groppi.

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