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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 08:39.
L'ultima modifica è del 15 febbraio 2011 alle ore 07:41.
Ho accettato ben volentieri l'invito di Enrico Letta a ricordare le vicende del 1980-81 che portarono Beniamino Andreatta e me a stipulare quello che è passato alla storia come il "divorzio" tra Tesoro e Banca d'Italia.
Sulle qualità di Andreatta, come uomo di studio e di lungimirante impegno civile, mi sono già espresso altre volte, segnatamente in occasione della giornata di studio promossa dall'allora ministro dell'Economia e delle Finanze, Tommaso Padoa-Schioppa, il 13 febbraio 2008.
Agli inizi degli anni 80, l'Italia viveva la seconda crisi petrolifera; il livello dei prezzi segnava un tasso annuo superiore al 20 per cento. Da quasi dieci anni l'Italia conviveva con un'inflazione a due cifre, che non ci doveva abbandonare per altri cinque anni.
All'assemblea della Banca d'Italia del maggio 1981, interpretando l'anima dell'istituto che mi era stato da poco affidato, indicai tre condizioni per restituire al paese stabilità monetaria: una politica dei redditi volta alla disinflazione; una banca centrale completamente indipendente; il pieno controllo del bilancio pubblico e della conseguente creazione monetaria. Vorrei richiamare, per sommi capi, le tre condizioni che enunciai allora:
1 - «Il ritorno a una moneta stabile richiede un vero cambiamento di costituzione monetaria, che coinvolge la funzione della banca centrale, le procedure per le decisioni di spesa pubblica e quelle per la distribuzione del reddito. Prima condizione è che il potere della creazione della moneta si eserciti in completa autonomia dai centri in cui si decide la spesa... Oggi quella condizione deve essere soddisfatta soprattutto nei confronti del settore pubblico, liberando la banca centrale da una condizione che permette ai disavanzi di cassa di sollecitare una larghezza di creazione di liquidità non coerente con gli obiettivi di crescita della moneta. Ciò impone il riesame dei modi attraverso i quali, nel nostro ordinamento, l'istituto di emissione finanzia il Tesoro: lo scoperto del conto corrente di tesoreria, la pratica dell'acquisto residuale dei buoni ordinari alle aste, la sottoscrizione di altri titoli emessi dallo stato. In particolare è urgente che cessi l'assunzione da parte della Banca d'Italia dei Bot non aggiudicati alle aste».