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Ahmed: il mio vero obiettivo è la Germania

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 06:36.

LAMPEDUSA - Tunisini all'aeroporto, tunisini nella sede del parco marino, tunisini al centro di accoglienza, tunisini che sciamano per le stradine tortuose di Lampedusa, isola aperta a 3530 gradi nord di latitudine, più a sud delle città di Algeri e Tunisi.

La geografia, con le sue coordinate implacabili, tratteggia i confini geologici e fisici che non ammettono repliche: "Lampedusa e Lampione appartengono alla placca continentale africana". Sarà per questo che Ahmed Mowcef, 35 anni, macellaio di Jerba, giubbotto di pelle e cappellino ricamato a uncinetto calato sulla fronte, si sente a casa propria. «Noi non vogliamo rimanere in Italia: devo raggiungere mio fratello e mia figlia a Wiesbaden, vicino Francoforte», spiega al cronista in cambio di una sigaretta. Il lander di Hessen sembra lontanissimo da questa placca africana persa nel Mediterraneo, quasi un altro Continente. Cala il buio di una notte che ha il cielo nero come il catrame e il mare color petrolio. Per i 5278 tunisini sbarcati a Lampedusa dal 15 di gennaio a oggi, pure questa pietra calcare e dolomitica sembra petrolio. Il petrolio di un futuro lontano dalla lotta fratricida delle milizie armate di Ben Alì, il dittatore fuggiasco in Arabia Saudita, e l'esercito che in massa si è schierato con il popolo. A Lampedusa il popolo non sanno neppure cosa sia. Seimila isolani guidati da un sindaco dell'Mpa, Bernardino de Rubeis, antenati spagnoli ed ex seminarista ad Agrigento. Dall'alto del suo metro e 94 di altezza il primo cittadino autonomista con un passato democristiano dispensa pillole di saggezza sull'exit strategy di questa ennesima emergenza umanitaria: «I tunisini di questa ondata sembrano ragazzi tranquilli. I vigili urbani mi raccontavano che hanno le tasche piene di banconote da cento, duecento e cinquecento euro che stamattina hanno speso nei negozi di alimentari. Fossi in Sarkozy mi preoccuperei più di Berlusconi e Bossi: dicono tutti di voler raggiungere la Francia. Secondo me in Italia ne rimarranno pochissimi».

De Rubeis ragiona a voce alta su quanti tunisini possa ospitare Lampedusa: «Al massimo mille, 1.200. Ma il nostro obiettivo è quello di spedirli in Sicilia, Calabria e ovunque si appronteranno dei campi profughi. Noi li abbiamo rifocillati e accolti. Di più non possiamo fare».

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Tags Correlati: Agrigento | Ahmed Mowcef | Bel Alì | Ben Alì | Bernardino de Rubeis | Calabria | Città e comuni | Germania | Movimento per l'Autonomia | Tunisia | Vigili Urbani

 

Il sindaco viaggia sull'ultimo volo Meridiana decollato ieri sera alla volta di Lampedusa dall'aeroporto palermitano Falcone e Borsellino. L'aereo è pieno di cronisti svedesi, tedeschi e francesi. De Rubeis racconta che nei giorni immediatamente seguenti alla fuga di Ben Alì dalla Tunisia è approdata a Lampedusa una barca di venti metri con a bordo un paio di rampolli della famiglia del dittatore. Da allora la loro imbarcazione è rimasta ancorata al molo proprio sotto la statua della Madonna. I carabinieri non li perdono di vista un attimo. Gli eredi della famiglia Bel Alì-Trabelsi (la moglie dell'ex presidente) che condividono la sorte dei cinquemila clandestini approdati nell'isola siciliana. I primi con un veliero bianco, gli altri sulle carrette del mare.

Nessuno sa quanto durerà l'occupazione di Lampedusa. Ieri di barche non ne sono arrivate. Le condizioni del mare tendono a peggiorare, almeno per i prossimi due giorni. Albergatori e ristoratori si sfregano le mani. Da almeno una settimana si registra il tutto esaurito. Un pienone fuori stagione che sfuma l'apprensione per le incognite del futuro.

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