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Bersani chiede elezioni anticipate

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2011 alle ore 07:45.

Rinnova, dopo l'intervista di ieri alla Padania, l'invito al Carroccio a «staccare la spina» per portare a casa il federalismo. Ma soprattutto spedisce al premier un messaggio forte e chiaro: si dimetta e andiamo al voto. Così, nel giorno del rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi, il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, prova a stringere all'angolo il Cavaliere. «Noi chiediamo le dimissioni di Berlusconi», annuncia rilanciando l'appello pronunciato poco prima in aula dal capogruppo alla Camera Dario Franceschini. Poi l'affondo. «Siamo noi che chiediamo le elezioni anticipate – prosegue Bersani – sono io che le chiedo».

Una richiesta alla quale si accompagna, sulla strada di un patto allargato che va dal terzo polo a Vendola, la rassicurazione sulla volontà di percorrere una via politica per far cadere il premier a uso e consumo dell'elettorato moderato, che mal digerisce un'opposizione a rimorchio dei pm. «Non ci occupiamo di reati - precisa così il segretario – perché questo è il lavoro della magistratura né ci occupiamo di peccati perché se ne occupa la Chiesa. Ma pensiamo al bene del paese». Quello stesso paese che torna poi nel commento "soft" del segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa. «Rispettiamo i magistrati milanesi che hanno scelto il rito abbreviato per Berlusconi, e nei confronti del premier siamo garantisti come per ogni imputato. Ci auguriamo – osserva – che questa vicenda sia chiarita al più presto, nell'interesse del paese». Nessun riferimento diretto alle dimissioni del premier, ma il passo indietro di Berlusconi resta al centro dei ragionamenti a via dei Due Macelli. Mentre i finiani, con il vicecapogruppo alla Camera, Benedetto Della Vedova, sottolineano che «non è in corso un attentato, un golpe» e auspicano che il parlamento non diventi teatro «di una lotta senza quartiere ai magistrati».

Il leader di Sel, Nichi Vendola, parla invece di «macchia nera sul volto delle nostre istituzioni» e coglie al volo l'occasione per rispondere soprattutto alla proposta al Pd e al lavorio per una "santa alleanza" in chiave anti-premier. «Le forze dell'opposizione convergano anche nelle forme di una provvisoria coalizione elettorale per ricostruire un quadro di regole, di diritti e di doveri, e di certezze democratiche».

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Tags Correlati: Antonio Di Pietro | Benedetto Della Vedova | Camera dei deputati | Dario Franceschini | Idv | Lega | Lorenzo Cesa | Nichi Vendola | Pd | Pierluigi Bersani | Sel | Silvio Berlusconi | Udc

 

Un patto che, secondo il governatore della Puglia, non dovrebbe però escludere, come invece vuole il Pd, l'Idv di Antonio Di Pietro. Che torna a chiedere «le dimissioni spontanee del presidente del consiglio» perché «è in atto un conflitto istituzionale». Ma tradisce un certo nervosismo rispetto alla conventio ad excludendum al centro delle manovre del Pd e lo trattiene a fatica. Così, quando lo si interpella sull'apertura di Bersani alla Lega, l'ex pm sbotta. «I numeri per approvare il federalismo non ci sono. E in ogni caso quando si è trattato di votare in Parlamento noi siamo stati disponibili al confronto. Bersani invece dov'era? Siamo contenti che si sia finalmente accorto del federalismo e della possibilità di affrontare questo tema con spirito positivo. Ma di certo non possiamo accettare che siccome ha cantato il gallo ora vanno tutti appresso al gallo».
(Ce. Do.)

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