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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2011 alle ore 16:06.
L'opposizione lancia l'affondo contro il premier dopo la decisione del gip Cristina Di Censo di disporre il rito immediato per il premier Silvio Berlusconi. Così dal Pd parte la richiesta di dimissioni del Cavaliere firmata dal segretario Pierluigi Bersani.«La magistratura - avverte il leader dei Democrats - deve fare il suo mestiere. Noi ci occupiamo dell'Italia e non vogliamo che l'Italia vada allo sbando. Noi chiediamo le dimissioni di Berlusconi. E noi chiediamo le elezioni: sono io che le chiedo». Insomma, i democratici abbandonano anche gli ultimi indugi e provano a stringere all'angolo Berlusconi.
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L'affondo dei democratici in aula alla Camera
Contro il quale, già in mattinata, si era levata la protesta del capogruppo dei democratici a Montecitorio, Dario Franceschini, «Noi da settimane in questa sede abbiamo chiesto le dimissioni del Presidente del Consiglio. La situazione è chiara a tutti, è insostenibile». Così l'aula della Camera è diventata il palcoscenico di un nuovo scontro tra maggioranza e opposizione con l'Idv che, per bocca del suo capogruppo, Massimo Donadi, ha subito sposato la linea dura dei democratici. «L'agonia politica di Berlusconi non può e non deve diventare quella del Paese» per questo Silvio Berlusconi compia un gesto "di responsabilità: si dimetta, si difenda davanti ai giudici ma dia la possibilità al Paese di scrivere una pagina nuova». Mentre Fli, scossa dalle divisioni dopo il nuovo organigramma uscito dall'assemblea costituente di Milano, ha chiesto di evitare che il Parlamento diventi teatro di uno scontro tra politica e pm. «I prossimi mesi non possono essere un rodeo pro o contro la magistratura - osserva in aula alla Camera il vicepresidente vicario dei deputati di Fli, Benedetto Della Vedova -. Il premier ha una difesa a cui non mancheraanno i mezzi e non è discussione la sua innocenza fino a prova del processo». Quindi, sottolinea ancora Della Vedova, «evitiamo di far precipitare il Parlamento in una discussione politica, in una guerra senza quartiere alla magistratura».