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Offensiva dei legali: conflitti, impedimenti e legittimo sospetto

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2011 alle ore 06:35.


ROMA
Quattro ore di faccia a faccia tra Silvio Berlusconi e il suo avvocato Niccolò Ghedini per affrontare la realtà e non ragionare più soltanto di scenari. Da ieri mattina alle 11.00, infatti, il processo Ruby è una realtà, il premier non è più indagato ma imputato dei gravissimi reati di concussione e prostituzione minorile, e il 6 aprile dovrà presentarsi in dibattimento. Chiusi a palazzo Grazioli con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, Berlusconi e Ghedini hanno cominciato a tessere la strategia difensiva. Non solo processuale, ma anche «politica», come ribadisce Fabrizio Cicchitto, insistendo sulla tesi del fumus persecutionis dei magistrati di Milano. E confermando così che il primo passo, a breve, sarà il conflitto tra poteri (contro il Gip) sollevato dalla camera davanti alla Consulta.
Salgono quindi a quattro i processi al premier: Mediaset diritti-tv (28 febbario), Mediatrade (5 marzo), Mills (11 marzo), Ruby (6 aprile). Il rischio ingorgo è concreto. Tra impegni di governo dell'imputato e impegni parlamentari dei suoi difensori, le udienze potrebbero svolgersi solo il lunedì e il sabato. La difesa punterà sul solito armamentario: legittimo impedimento, conflitto tra poteri dello stato, liste infinite di testimoni, eccezioni di nullità, ma non si esclude neppure il ricorso al «legittimo sospetto», come ai tempi di Mani pulite, per spostare da Milano i processi e, in attesa del verdetto della Cassazione, sospendere il processo. Parallelamente, andrebbe avanti il «processo breve», con la tagliola sulla prescrizione dei reati per gli incensurati, e l'estinzione prematura dei processi in corso. Il Pdl vuole portarlo in aula già a marzo (poi dovrà tornare al senato), nonostante la frenata di ieri della presidente della commissione giustizia. La finiana Giulia Bongiorno ha infatti accolto la richiesta dell'opposizione di dare più spazio alle audizioni e ha lasciato cadere la richiesta del Pdl di fissare, subito dopo, il termine per gli emendamenti.
La prima mossa del processo Ruby sarà comunque «politica» e arriverà prima dell'udienza del 6 aprile, quando Ghedini tornerà a insistere sul trasferimento del processo al Tribunale dei ministri. Prima la difesa potrebbe giocare la carta del «legittimo sospetto» o quella già annunciata del conflitto davanti alla Consulta contro il Gip, che ha confermato la competenza dei magistrati di Milano.

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Tags Correlati: Camera dei deputati | Corte Costituzionale | Corte di Cassazione | Fabrizio Cicchitto | Gianfranco Fini | Gianni Letta | Giulia Bongiorno | Lega | Maurizio Paniz | Mediaset | Milano | Montecitorio | Niccolò Ghedini | PDL | Reati | Silvio Berlusconi

 

Una strada in salita, anche perché Berlusconi - dopo aver chiesto il via libera del presidente della Camera e ottenuto quello della giunta per le autorizzazioni a procedere - per approdare all'aula deve passare per le forche caudine dell'Ufficio di presidenza di Montecitorio, dove Pdl e Lega sono in minoranza e dove il conflitto rischia di arenarsi. Due le strade: o forzare Fini, con un atto politico, a non stoppare il voto dell'aula, o rinunciare e far sollevare il conflitto dal governo. Strada impervia, quest'ultima. Persino il ministro della Giustizia sembra scettico. «Il Gip non ha tenuto conto del voto della camera e questo pone il problema dell'autonomia e dell'indipendenza del parlamento» ha spiegato ieri Alfano, aggiungendo che «non è certo il governo a intervenire per tutelare l'indipendenza del parlamento». «La decisione spetta al presidente Berlusconi e ai suoi legali», ha spiegato un altro avvocato del Pdl, Maurizio Paniz, che è anche relatore del «processo breve». E Berlusconi e i suoi legali avrebbero già scelto la via della camera, anche a costo di forzare la mano a Fini. «L'Ufficio di presidenza della camera - avverte infatti Paniz - non può intaccare una prerogativa che spetta all'assemblea della camera».
Il Pdl è convinto che il «caso Matteoli» sia un precedente determinante per le sorti del conflitto e che imporrà alla Corte di sanzionare la Procura di Milano, "colpevole" di non aver «neppure informato la camera di voler chiedere il rito immediato».
Peraltro, Berlusconi, Ghedini e il Pdl sanno che il conflitto non sospende il processo e che la decisione della Corte non arriverebbe prima di dieci mesi, un anno; ma ritengono che il giudice, pur non avendone l'obbligo, dovrebbe fermare le lancette dell'orologio fino al verdetto della Consulta o almeno fermarsi prima della sentenza. In ogni caso, il premier è pronto a usare il «legittimo impedimento», pur con tutti i limiti stabiliti dalla Consulta. Che ha lasciato al giudice il potere di valutare l'impedimento stesso e di bilanciarlo con l'esigenza della «ragionevole durata del processo». Ma gli avvocati sono pronti a sparare conflitti davanti alla Corte ogni volta (o quasi) che il giudice non sarà d'accordo con loro.
Mentre nei Tribunali si andrà avanti a rilento, a colpi di impedimenti, conflitti, sospetti e altre manovre dilatorie, in parlamento si andrà invece a razzo per far tagliare il traguardo alla legge sul «processo breve», anche con la fiducia. O, come sosteneva ieri qualche berlusconiano ben informato, «per arrivare alla fine della legislatura» e giocare una nuova partita politica, elettorale, tutta contro i giudici.
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