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Pmi senza ossigeno oltre gli 8mila

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2011 alle ore 06:36.


MILANO
«Abbiamo registrato i nostri marchi in Cina, Giappone e Corea del Sud e in quest'ultimo paese siamo in trattative con un concessionario per sviluppare la nostra presenza nel sud est asiatico. Abbiamo fatto tutto da soli. Anche dall'Ice, a cui siamo iscritti, tutte le volte che abbiamo chiesto assistenza concreta non abbiamo ottenuto molto». Bonaventura Smiraglio, direttore amministrativo e finanziario del gruppo Guglielmo, torrefazione con 13 milioni di fatturato nel profondo Sud, in provincia di Catanzaro, rappresenta l'esperienza di molte imprese che, davanti alla sostanziale stagnazione del mercato interno, si guardano intorno e cercano di intercettare la domanda nelle aree del mondo che stanno crescendo di più, dal Brasile al Far East. «L'obiettivo è di aumentare sensibilmente la quota di export, oggi all'8%» spiega Smiraglio.
Siamo partiti dal Sud per raccontare la sfida dell'internazionalizzazione che il sistema produttivo italiano deve affrontare in un mercato globale in continuo mutamento. In un settore completamente diverso ma con le stesse motivazioni si sta muovendo l'Ucimu, l'associazione dei produttori di robot per l'industria. «È vero, le aziende sono lasciate sole nell'espansione all'estero – conferma il presidente Giancarlo Losma – anche per questo abbiamo deciso di attivare in India una piattaforma per assistere nelle esportazioni le imprese associate. Una iniziativa che estenderemo anche alla Cina e che non sarà limitata ai produttori di macchine utensili ma si rivolgerà a tutta Federmeccanica».
«Nella lettura dei dati sul commercio con l'estero del 2010 – osserva Alessandra Lanza, responsabile dell'analisi economica di Prometeia – non bisogna dare troppa enfasi all'aumento del saldo negativo su cui incide pesantemente la componente energetica. Tuttavia non può passare in secondo piano la debolezza strutturale che impedisce alla maggior parte delle imprese italiane di aggredire con efficacia i mercati più lontani, dove più forte è la crescita». Un limite quantificato: «Oltre gli 8mila chilometri di distanza le nostre pmi non arrivano». I motivi? «Dimensioni troppo piccole, sistema paese debole e politica industriale inesistente, banche in ritardo nell'internazionalizzazione» elenca l'economista. «In questa situazione le imprese continuano a fare come sempre tutto da sole. Fanno miracoli se si pensa che hanno retto il confronto in mercati in cui governi forti investono molte risorse a difesa dell'industria nazionale». Senza contare che la stazza ridotta di moltissime imprese comporta un altro limite: «Pochi investimenti in ricerca & sviluppo» osserva Marco Valli, chief economist per l'Europa di Unicredit.

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Che il 2010 non sia andato male nei conti con l'estero lo dimostrano i dati Istat. «Al netto dell'energia la nostra bilancia è migliorata» osserva Lorenzo Stanca, presidente del Gruppo economisti d'impresa. «Le esportazioni sono cresciute del 15,7%, un dato molto significativo e superiore al +14% del commercio mondiale. Vuol dire che abbiamo rosicchiato quote di mercato». Chissà cosa riuscirebbe a fare l'industria italiana se non fosse «abbandonata a se stessa» come sostiene Alberto Caprari, vicepresidente e direttore esecutivo della Caprari Pompe di Modena. «Parlo soprattutto delle pmi che rappresento come vicepresidente di Anima. Bistrattate dallo stato e dalle banche» aggiunge. E lancia una proposta «molto semplice: defiscalizzare per tre anni tutti i costi sostenuti per lo sviluppo commerciale all'estero. Peserebbe sull'erario ma sarebbe un investimento efficace».
Diversa è l'esperienza di Silvio Albini, alla guida del gruppo Albini, che esporta l'80% del fatturato. Produttore di tessuti per camicie alto di gamma, vendite 2010 a 115 milioni di euro rispetto ai 100 del 2009, ha intrapreso la strada dell'internazionalizzazione da almeno un ventennio. Oltre ai quattro stabilimenti italiani ne ha uno in Repubblica Ceca e un altro in Egitto: «Qui l'ambasciata e l'Ice ci sono state molto vicine, ed è stata di grande aiuto la presenza di una banca italiana. In Repubblica Ceca invece non ne abbiamo avuto bisogno. Ogni mercato richiede un approccio diverso, ma con molti uffici dell'Ice ci siamo trovati bene». Per il 2011, geopolitica e rincaro delle materie prime permettendo, le prospettive sono buone. Crescono mercati ricchi e maturi come la Germania, la Francia, la Svizzera e l'Austria, ma crescono ancora di più quelli del Far East e la Cina, «tanto che stiamo aprendo un ufficio a Shanghai, con personale nostro, per avere una presenza diretta ormai indispensabile».
«Come Sistema Moda Italia – dice il presidente Michele Tronconi – con Ice e Intesa Sanpaolo, abbiamo aperto nel 2008 un ufficio a Shanghai. È stato, credo, il primo settore produttivo italiano a farlo. Adesso andremo in una sede più grande perché continuano a crescere le richieste di assistenza». Per Tronconi resta importante, nella promozione internazionale la partnership tra pubblico e privato e definisce «un errore strategico» la riduzione delle risorse dell'Ice.
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LA SFIDA OLTRECONFINE Aziende a caccia di crescita nel mondo
DOSSIER L'economia in Italia
LE ROTTE DELLE MERCI
337 miliardi
Il valore delle esportazioni
Ma il 57,6% si ferma nella Ue
Nel corso del 2010 il sistema delle imprese italiane ha esportato prodotti per oltre 337 miliardi di euro. Il 57,6%, però, si ferma entro i confini dell'Unione europea. I paesi del Bric (Brasile, Russia, Cina, India), raccolgono circa l'8% dell'export: meno della Francia o della Germania
I SETTORI «ATTIVI»
La bilancia commerciale italiana nel 2010 è risultata negativa per 27,3 miliardi (era di -5,9 nel 2009). La causa è delle importazioni energetiche, senza le quali il saldo sarebbe stato positivo per oltre 25 miliardi. Le attività manifatturiere nel loro complesso hanno registrato un saldo positivo
di 41 miliardi. Bene i macchinari (+37,8 miliardi), il tessile-abbigliamento (+11,7), la gomma-plastica (+9,5),
la raffinazione dei prodotti petroliferi (+6,4), gli apparecchi elettrici (+6,2)
e i mobili (+5,9).
I PASSI DA COMPIERE
1
La scelta del mercato e la ricerca di informazioni
Per una Pmi che vuole esportare o aprire un'attività in un paese emergente, il primo passo è quello di scegliere il mercato giusto, adatto al suo tipo di prodotto e alla sua fascia di prezzo. Informazioni e studi di settore di questo genere sono spesso messi a disposizione in Italia dalle associazioni di categoria e da una serie di istituzioni locali, come gli uffici per la promozione delle attività internazionali presso le Camere di commercio o gli sportelli regionali per l'internazionalizzazione (Sprint). Questi enti offrono anche un sostegno alle questioni pratiche e organizzano seminari di formazione e missioni all'estero, i cui costi di partecipazione spesso sono in parte rimborsati da voucher regionali.
2
Finanziamenti e polizze assicurative
Un progetto di investimento all'estero può aver bisogno di un finanziamento. L'interlocutore in questo caso sono le banche italiane, che però in molti paesi emergenti non hanno una presenza diretta e si devono appoggiare agli istituti partner. Può rivelarsi conveniente, ad esempio, rivolgersi a una delle banche del paese in cui si intende andare: spesso sono ben disposte a finanziare un imprenditore straniero che porta tecnologia e lavoro, e nel caso di India e Cina, ad esempio, dispongono di grande liquidità. Per chi esporta può essere utile dotarsi di un'assicurazione dei crediti: con la crisi il tasso di insolvenza nel mondo è aumentato considerevolmente. 3
Primi contatti in loco alla ricerca di partner
Chi esporta ha bisogno di un distributore; chi vuole aprire un'attività spesso deve cercare un partner con cui costruire una joint venture, un passo obbligatorio in molti paesi emergenti. Un punto di partenza sono gli uffici Ice, l'Istituto per il commercio estero, il cui riordino è previsto da una legge delega ormai in scadenza. Ce ne sono 116, sparsi in 88 paesi, e sono pronti a organizzare incontri B2b con i potenziali partner locali. Anche le ambasciate italiane sono un riferimento importante: al loro interno sono presenti uffici commerciali specializzati nel supporto al business. Ci sono poi i consoli italiani onorari, spesso imprenditori che hanno avuto successo nel paese e che mettono la loro esperienza al servizio dei colleghi.
4
La tutela dei marchi e le certificazioni
Prima di mettere sul mercato un prodotto, è meglio assicurarsi dal rischio che un'impresa locale lo possa riprodurre a minor prezzo. Nel caso dei brevetti, ad esempio, se non si vuole depositare domanda di brevetto internazionale ma si desidera
comunque essere protetti in uno specifico stato, è opportuno depositare una domanda presso l'ufficio nazionale competente. Anche per tutelare i marchi bisogna intraprendere specifiche procedure. Chi esporta prodotti agroalimentari non può inoltre ignorare gli schemi di certificazione internazionali nonché le specifiche richieste di volta in volta dai singoli stati. Gli enti certificatori, così come gli studi legali e commerciali, possono essere d'aiuto.

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