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Tutti i nemici di Oprah Winfrey

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2011 alle ore 08:11.

Senza dubbio i recenti avvenimenti nel mondo arabo sono molto importanti, così come lo è la recessione che ha lasciato senza lavoro milioni di persone. Ma se anche voi, come capita a me, avete voglia di cambiare argomento per un istante, vi invito a leggere queste righe.


Parliamo quindi di Oprah Winfrey, la presentatrice televisiva statunitense che secondo Time è stata una delle persone più influenti del XX secolo, e che la Cnn reputa la donna più potente al mondo. Il bisogno di prenderci una pausa dai temi legati alla crisi e l'interesse per Oprah non sono soltanto una questione personale: l'Università di Yale ha organizzato questa settimana una conferenza di esperti intitolata: «La Oprah globale: la celebrità come icona transnazionale». In uno degli interventi si discuterà de «L'iconografia di Oprah: globalizzando la razza, globalizzando la condizione di donna», mentre un altro si intitolerà «Le terapie di Oprah: aiuto e intervento ad Haiti» e un altro ancora «Esportando Oprah, filantropia e responsabilizzazione nell'attuale situazione geopolitica».

In ogni sessione verranno inclusi interventi come ad esempio quello tenuto dalla professoressa Diane Negra dell'University College di Dublino. La sua tesi si focalizza sul «post-femminismo transnazionale nella televisione diurna nell'Irlanda post-tigre celtica» (no, non si tratta di uno sbaglio di traduzione).
La professoressa Negra (confermo, questo è il suo cognome) spiega che il suo intervento analizza «la preoccupazione che si va accumulando in un'Irlanda profondamente colpita dalla crisi economica a causa delle retoriche dell'affermazione femminile verificatesi negli Stati Uniti». La sua conclusione (credo) è che la crisi economica «allo stesso tempo rafforza e riduce l'autorità della Winfrey in Irlanda».


Non sapevo che la donna più bella del mondo fosse Aishwarya Rai, un'attrice indiana (credevo il titolo fosse una prerogativa esclusivamente venezuelana). Ma pare che la Rai sia stata così definita da Oprah Winfrey, quindi dev'essere vero. E il commento ha ispirato l'intervento della professoressa Radikha Parameswaran dell'Università dell'Indiana, che ha scritto un saggio per la conferenza intitolato: «Gli incontri della celebrità globale: Aishwarya Rai - e l'India - entrano nell'orbita di Oprah e dell'America». Secondo questa relazione, la partecipazione della signora Rai nello show di Oprah la incorona «ambasciatrice culturale della nazione», il che porta la professoressa Parameswaran a «esaminare le profonde implicazioni... dell'intersezione delle costruzioni del potere di genere, nazione e globalizzazione».

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Tags Correlati: Africa | Aishwarya Rai | Chen Luyu | Cinema | Cnn | Diane Negra | India | Irlanda | Janice Peck | Oprah Winfrey | Queens College | Radikha Parameswaran | Stati Uniti d'America | University College | Wyclef Jean

 

Leggendo le sintesi di queste relazioni, intuisco che Oprah Winfrey non è un personaggio che desta le simpatie del gruppo di intellettuali convocato dal Dipartimento di studi su donne, genere e sessualità della rinomata Università di Yale. Non solo sembrano non apprezzare il suo programma televisivo ma non condividono neppure i suoi tentativi di fare del bene. Dopo una dettagliata descrizione delle generose donazioni e iniziative filantropiche della Winfrey, la professoressa Janice Peck le lancia una critica feroce, spiegando che queste riflettono l'agenda delle donne bianche e di classe media e medio alta, gruppo prevalente tra le telespettatrici di Oprah.

Secondo la professoressa Peck, gli sforzi di Oprah Winfrey nell'aiutare il prossimo - in particolare le bambine povere in Africa e le comunità afroamericane degli Stati Uniti - favoriscono le iniziative private e le possibilità di autosuperamento a discapito del "finanziamento pubblico e della responsabilità collettiva di far fronte alle esigenze della società».
Un'altra feroce critica in questa direzione arriva da Roopali Mukherjee del Queens College, che ci aiuta a comprendere il proprio punto di vista nell'introduzione del suo intervento: «L'Oprah globale è un significante loquace, un punto fermo nei sorprendenti cambiamenti del modo in cui l'"essere neri" imprenditoriale contribuisce alle tattiche disciplinanti e ai pareri governativizzati del neoliberalismo globalizzato». Avete capito? Inoltre, la professoressa Mukherjee aggiunge che Oprah Winfrey «personifica l'ironica interazione tra le soggettività mercantilizzate e la giustizia sociale, tra i mezzi di comunicazione globale, l'impresa neoliberale e la politica».

A questo punto ritengo che sia molto meglio tornare a quanto sta succedendo nel mondo arabo. Prima però mi rimangono tre punti in sospeso. Il primo: mi sembra importante ricordare che la retta annuale per studiare all'Università di Yale è di 55mila dollari. Il secondo: Oprah Winfrey può contare su un pubblico di 6 milioni di telespettatori. In Cina, la stima del pubblico della signora Chen Luyu, che conduce un programma analogo a quello di Oprah, è di 140 milioni di persone. Il terzo: cosa c'entra tutto ciò con il rapper haitiano Wyclef Jean? Nulla. Ma uno degli interventi nella conferenza su Oprah fa riferimento a come il successo di Jean influenzi «la politica transnazionale nell'era contemporanea». Proprio così, meglio se ritorniamo agli eventi in Libia.

(Traduzione di Graziella Filipuzzi)
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