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La carica mondiale delle cedole

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2011 alle ore 06:36.

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Alberto Ronchetti
«Sai qual è la sola cosa che mi dà piacere? È vedere arrivare i miei dividendi». Diceva così – a un suo vicino di casa –, ai primi del 900, John Davison Rockfeller, il capitalista-filantropo americano che è considerato l'uomo più ricco di tutti i tempi. E i dividendi arriveranno quest'anno, per la gioia degli investitori di tutto il mondo.
Il 2011, secondo gli analisti, sarà infatti un anno positivo per le cedole, che contribuiranno in modo sostanziale al total return azionario. Nel 2010, secondo le stime di consenso, l'S&P 500 ha accumulato un utile netto (inteso come somma degli earning per ogni azione delle società che ne fanno parte) attorno agli 84 dollari (quasi il 40% in più rispetto ai 60,8 del 2009) – cifra che dovrebbe salire a 96 dollari nel 2011 e a 109,5 nel 2012 –, mentre la somma distribuita agli azionisti sarà di oltre 23 dollari. In termini percentuali vuol dire oltre il 27% dei profitti riconosciuta ai soci. È una bella percentuale, anche se lontana dal 50% e oltre riconosciuto negli anni 60 e prima. Negli ultimi decenni le aziende hanno sempre più reinvestito i profitti, a discapito della quota distribuita agli azionisti, per creare ricchezza intrinseca al titolo. E anche la sempre maggiore focalizzazione degli investitori sul capital gain di breve, piuttosto che sul dividend yield di lungo periodo, ha favorito il fenomeno.
Comunque sia, l'incremento degli utili distribuiti quest'anno e, ragionevolmente anche nel 2012, è senza dubbio una buona notizia. Poi, certo, si deve ragionare sul fatto che il dato medio va sempre ponderato. Perché ci sono aziende più generose e altre molto meno.
Il consenso fra gli analisti, per esempio, è d'accordo sul fatto che la prossima stagione dei dividendi sarà particolarmente generosa da parte delle società finanziarie americane ed europee (in primis le banche, ma anche le assicurazioni), dopo due-tre anni che hanno avuto come priorità il risanamento dei bilanci.
Un'occasione da non perdere per gli investitori che temono un possibile ritorno della turbolenza sui mercati azionari è quindi quello di acquistare, approfittando delle correzioni, società con una buona storia di dividendi distribuiti. Anche se il payout medio dei listini occidentali sembra destinato a restare stabile (il 20-30% degli utili netti), le azioni ad alta cedola rappresentano comunque un buon paracadute in caso di ribaltamento delle prospettive azionarie (che ora tendono al bello).

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«I titoli ad alto rendimento cedolare possono costituire un'opportunità interessante, non solo per chi investe in azioni, ma potenzialmente anche per gli obbligazionisti», si legge in una ricerca di Credit Suisse. In particolare, aggiungono gli analisti dell'istituto elvetico, «restiamo sovrappesati sull'equity sia dal punto di vista tattico che strategico, perché la ripresa economica sembra in grado di autosostenersi e l'inflazione al momento non rappresenta un problema». Per questo al Credit Suisse si aspettano che «le quotate restituiranno denaro agli azionisti sotto forma di dividendo, anche perché la quota della liquidità delle aziende è ai livelli più elevati da metà degli anni 50».
Ma quali sono i comparti più interessanti da questo punto di vista? L'analisi di Credit Suisse dimostra che, dal 1973, gli high dividend yield negli Usa (energia e salute) e in Europa (energia, tlc e utilities) hanno costantemente sovraperformato i comparti più ciclici (It e consumi discrezionali a Wall Street, industriali e finanziari nelle nostre Borse).
Un fattore positivo è senz'altro la prospettiva di un ulteriore incremento degli utili azionari nel 2011 e nel 2012, anche se a un ritmo più rallentato rispetto a quanto visto l'anno scorso rispetto al 2009. Questo perché, anche se ne rappresentano una quota minoritaria, certamente l'ammontare degli utili distribuiti è influenzata dai profitti netti realizzati dall'azienda.
Le ultime stime della Fed, che ha rivisto al rialzo la crescita attesa per il 2011 al +3,4-3,9%, certamente sono un buon viatico per il miglioramento dei profitti aziendali. Perché, di pari passo, dovrebbero crescere anche i fatturati e le stime degli utili. «Oggi i price earning dei listini developed sono estremamente interessanti – spiega Ciro Vuolo, responsabile finanza advisory desk Credem –. In Europa, per esempio, siamo attorno a 8-10». Quindi, dal punto di vista dell'investimento, «al momento sono preferibili – aggiunge Vuolo – gli Stati Uniti e l'Europa, mentre gli emergenti, pur vincenti sul lungo termine, nel breve potrebbero essere oggetto di una correzione».
Ma nella strategia quanto conta la componente cedolare? Certamente molto per l'investitore cassettista. Anche perché il contributo dei dividendi (rendimento e loro crescita) sul total return è mediamente superiore all'80% su un periodo di cinque anni, secondo una ricerca di Ing Asset Management basata sullo studio di Wall Street dal 1871 a oggi, mentre si dimezza se il periodo considerato è di un anno. I dividendi reinvestiti sul lungo periodo possono aumentare il rendimento annuo anche del 4%: una ricerca di Morgan Stanley indica che le cedole reinvestite in Europa dal 1926 a oggi hanno consentito un ritorno medio annuo reale del 5,6% (contro l'1,3% del listino).
Un'evidenza messa però in ombra dall'attuale propensione al capital gain. «Oggi puntiano più sulla crescita dei prezzi che sul rendimento del dividendo – dice Vuolo –. Quindi, più che sui ciclici, siamo esposti, per un orizzonte di 6-12 mesi, su tech e risorse di base. E, ragionando sulla composizione di un portafoglio bilanciato, la nostra idea è di allocare il 40% in azioni, il 40% in obbligazioni e il restante 20% in strumenti alternativi».
D'altra parte anche Samy Chaar, analista di Lombard Odier, sottolinea che «i dividendi non sono tutto». In uno studio specifico sul tema Chaar osserva come il dividend yield sia «solo una componente del rendimento azionario, a cui dobbiamo aggiungere il tasso di crescita degli earning per share e il cambiamento dei multipli di valutazione». Dal 1947 a oggi (quindi un periodo di quasi 65 anni) il valore medio del rendimento cedolare su quello globale è attorno al 47%: importante, ma non esaustivo. «Di conseguenza – conclude Chaar – contare solo sui dividend yield per investire in azioni vuol dire ignorare metà del problema. E la metà ignorata potrebbe essere abbastanza negativa da annullare l'intero rendimento positivo che vogliamo cogliere».
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