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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2011 alle ore 08:02.
Riunita al vertice del 4 febbraio scorso, l'Europa aveva alzato la voce con l'Egitto nel pieno delle manifestazioni anti-Mubarak, chiedendo il rispetto delle libertà fondamentali e delle legittime aspirazioni del popolo alle riforme. Non una parola, invece, sul destino del "Faraone", mai citato nel comunicato dei 27 leader Ue, imbarazzati per l'aperto sostegno garantitogli in passato e ora ben decisi a non interferire nelle decisioni del Cairo.
Questo copione è stato seguito quasi in fotocopia ieri dai ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles e chiamati a fronteggiare una crisi che si sta allargando a macchia d'olio. Dopo Tunisia ed Egitto c'è la Libia nell'occhio del ciclone. Con Bahrain e Yemen in bilico. Per molti aspetti però la Libia è un'altra storia perché violenza e morti tra i dimostranti qui non hanno precedenti. Per di più il paese rischia la guerra civile se si dovesse celebrare il divorzio tra Cirenaica e Tripolitania, prospettiva tutt'altro che peregrina visto che nella Bengasi "liberata" è già stata proclamata la nascita dell'Emirato islamico della Libia orientale, a due passi dall'Europa, ha avvertito Franco Frattini.
Per tutto questo ieri, al termine di una discussione difficile, i ministri Ue hanno «condannato la repressione in atto contro i dimostranti e deplorato la violenza e la morte di civili chiedendo la fine immediata dell'uso della forza contro chi protesta». Pur precisando che «sono i popoli di questi paesi a dover scegliere il loro futuro», i 27 ricordano che «libertà di espressione e di riunione pacifica vanno rispettate e protette come le legittime aspirazioni alle riforme». Quindi invitano «con forza tutte le parti al dialogo nazionale aperto, inclusivo e significativo». In breve, alla riconciliazione.
Neanche una parola invece, nemmeno questa volta, sul destino di Gheddafi e della sua famiglia. «Non è nostro compito cambiare la leadership in Libia» ha detto forte e chiaro il finlandese Alexander Stubb, ben deciso invece a invocare sanzioni contro un regime che non esita a bombardare la propria popolazione. Proposta non sgradita a Londra e Berlino. La maggioranza però ha preferito la cautela: con centinaia di connazionali ancora in Libia meglio non andare allo scontro ma seguire da vicino il processo, si spera, di transizione. Secondo l'inglese William Hague Gheddafi sarebbe già in volo verso il Venezuela. Informazione poi però smentita.