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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2011 alle ore 18:04.

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Muhammar GheddafiMuhammar Gheddafi

A metà febbraio le proteste che infiammano una parte consistente del mondo arabo raggiungono anche la Libia del colonnello Muammar Gheddafi. In pochissimi giorni la situazione va fuori controllo. Ci sono violenti scontri tra manifestanti antigovernativi e gruppi che sostengono il rais. Il regime decide di applicare la massima brutalità nel tentativo di stroncare la rivolta. Già nei primi giorni di repressione si contano centinaia di morti e moltissimi feriti.

Le città principali sprofondano nel caos, migliaia di persone occupano la Piazza Verde di Tripoli, i palazzi del potere vengono dati alle fiamme, la Libia si trova isolata e le notizie iniziano a rincorrersi confuse. Voci su importanti defezioni nell'esercito si mescolano a quelle di tentativi di un golpe militare, politici e diplomatici iniziano a sfilarsi dal regime. Voci non confermate danno Gheddafi in fuga, forse verso il Venezuela. Poi mentre le violenze continuano con bombardamenti sui civili e i morti diventano molte migliaia, forse più di diecimila (ma sul numero reale delle vittime rimangono incertezze e polemiche), il 22 febbraio il leader della Jamahiriya, Gheddafi, appare in tv da Tripoli, esprimendo terribili messaggi sulla sua volontà di combattere "fino all'ultima goccia di sangue" ed eventualmente di "morire come un martire". Mentre miliziani mercenari provenienti da altri paesi africani convergono sulla Libia per dar manforte al regime del colonnello e al Qaeda cerca di infilarsi nella contesa manifestando il suo appoggio interessato agli oppositori di Gheddafi, la Libia naufraga nel sangue. Nel corso dell'ultima settimana di febbraio molte città cadono in mano agli insorti, la Cirenaica si dichiara "zona liberata" dal governo di Gheddafi. Il regime continua a bombardare altri centri. Le Nazioni Unite decidono di comminare sanzioni nei confronti del regime di Gheddafi. Il 27 febbraio a Bengasi si forma un Consiglio nazionale di transizione, che ha l'obiettivo di raccogliere in un fronte comune tutte le città controllate dagli insorti.

Nella prima settimana di marzo si combatte nelle città di Brega, di Al Zawiya, nel centro petrolifero di Ras Lanuf, bombardato dall'aviazione fedele a Gheddafi. Il 7 e l'8 marzo sui network televisivi arabi si rincorrono voci su possibili trattative tra i ribelli e Gheddafi per un'uscita di scena, con garanzie, per il Colonnello. Nei giorni successivi la controffensiva di Gheddafi si rivela efficace. Il 17 marzo viene approvata la risoluzione 1973 delle Nazioni Unite che autorizza la comunità internazionale a istituire una no-fly zone sulla Libia e a impiegare ogni mezzo necessario alla protezione dei civili e all'imposizione del cessate il fuoco. La Francia si distingue per interventismo, ma sono vari i paesi impegnati nella missione "Odyssey Dawn" tra cui gli Stati Uniti e l'Italia. In Libia è guerra. Continuano gli scontri tra le truppe lealiste e gli insorti e, a partire dal 19 marzo, iniziano i bombardamenti aerei della coalizione internazionale su obiettivi strategici in vista dell'istituzione e del controllo di una efficace no-fly zone.

Nonostante le centinaia di operazioni condotte dagli aerei dei paesi che partecipano a Odyssey Dawn gli scontri tra gli insorti e le truppe fedeli al Colonnello continuano, in una guerra di posizione in cui si alternano avanzate e ritirate e alcune località passano più volte di mano. Negli ultimi giorni di marzo il ministro degli Esteri libico Moussa Koussa "diserta" e raggiunge Londra attraverso la Tunisia. Il 13 aprile il Gruppo di Contatto sulla Libia, in una riunione a Doha (in Qatar), decide di creare un meccanismo di finanziamento destinato al Consiglio di Bengasi. Il 30 aprile durante un bombardamento viene ucciso uno dei figli del Colonnello, Saif al Arab. Si susseguono defezioni importanti dal regime, ma le ricorrenti notizie su una fuga di Gheddafi, o sulla sua volontà di accettare una sua uscita di scena a determinate condizioni, si rivelano senza fondamento. Il 17 maggio il procuratore generale della Corte dell'Aia, José Luis Moreno Ocampo, ha chiesto un mandato di cattura per Gheddafi e suo figlio Saif al Islam. A due mesi dall'inizio dell'intervento internazionale il Colonnello resiste e la Libia rimane divisa tra la parte rimasta in mano al regime e quella controlata dai ribelli che fanno base a Bengasi.

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