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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2011 alle ore 06:36.
IL CAIRO. Dal nostro inviato
La Libia è in fiamme, sull'orlo della guerra civile. Al Cairo migliaia di dimostranti accorsi per esprimere la loro solidarietà con i manifestanti libici quasi non vogliono credere alle immagini brutali che scorrono davanti ai loro occhi e alle testimonianze per telefono riportate dai media: caccia dell'esercito che bombardano le postazioni dei manifestanti. Squadre di mercenari africani che aprono il fuoco contro i manifestanti. Le fiamme che avvolgono la sede del parlamento nella capitale Tripoli, altri edifici simbolo del regime, tra cui la sede della tv di stato, inceneriti, mentre la polizia abbandona la frontiera con l'Egitto. E poi i piloti di due caccia militari che disobbediscono agli ordini di sparare e fanno rotta su Malta. Nella notte, notizia rilanciata dalla tv al-Jazeera, un gruppo di ufficiali che invita i soldati «a unirsi al popolo», a marciare su Tripoli. Altre città cadute nelle mani dell'opposizione. E tante, tantissime vittime: 250 solo a Tripoli nelle ultime 24 ore, secondo al-Jazeera. Forse 600 dall'inizio della rivolta.
Cosa sta accadendo? Era prevedibile che il regime di Muammar Gheddafi, l'inossidabile colonnello che da 41 anni guida il paese con il pugno di ferro, avrebbe represso nel sangue le manifestazioni: impensabile che sarebbe ricorso perfino ai bombardamenti con l'aviazione. Seif al-Islam, il figlio di Gheddafi designato alla successione, li ha smentiti affermando che le forze aeree hanno colpito depositi di armi, ma nello stesso tempo ha promesso «fiumi di sangue»: «Gli scontri scoppiati in Libia sono frutto di un complotto straniero, che vuole instaurare una repubblica islamica. Distruggeremo i responsabili della rivolta».
Sesto giorno di rivoluzione. La rivolta arriva nella capitale Tripoli e nei suoi sobborghi. Il regime si sta sgretolando. Ormai diverse autorità governative e militari hanno abbandonato Gheddafi. Tra queste il ministro della giustizia Mustafa Abdel Jalil, e il collega responsabile dell'Emigrazione e della Comunità straniera, Ali Errichi, Oltre a diversi ambasciatori all'estero. Qui al Cairo, Abdel Monem Al-Howni, rappresentante della Libia alla Lega araba, ha pubblicamente rassegnato le dimissioni. «Non ho più legami con questo regime che ha perduto la sua legittimità. In Libia è in corso un genocidio», dichiarazione ripetuta anche dal vice ambasciatore libico all'Onu, Ibrahim Dabbashi.