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La nuova vita di Erika e Omar dieci anni dopo il massacro di Novi Ligure

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2011 alle ore 10:21.

La sera del 21 febbraio 2001 Francesco De Nardo ha in programma una partita di calcetto. È un ingegnere di origine calabrese. Ha quarantaquattro anni. Lavora come dirigente alla Pernigotti. La celebre industria del torrone, insieme alla Elah Dufour e alla cioccolateria Novi, fa di Novi Ligure, in provincia di Alessandria, la cittadina dei dolciumi. La figlia dell'ingegnere, Erika, ha sedici anni. È stata bocciata al liceo scientifico. Ora studia in un istituto per geometri.

La scuola è cambiata, i voti no. La ragazza ha passato il pomeriggio insieme al fidanzato Omar Mauro Favaro, che qualche mese dopo diventerà maggiorenne e che non piace alla mamma. Hanno diluito qualche ora sonnacchiosa della provincia piemontese con un paio di drinks. Forse dei Negroni. Il Museo dei Campionissimi di Novi, dedicato a Costante Girardengo e a Fausto Coppi, non è ancora stato inaugurato, ma in ogni caso il ciclismo vintage non sarebbe una grande distrazione. Ormai è quasi sera. Sono più meno le otto. Francesco è già uscito. Nelle case del quartiere Lodolino, alla periferia di Novi, qualcuno apparecchia. Qualcuno si siede davanti al Tg1, qualcun altro preferisce il Tg5. Nella villetta a schiera dei De Nardo c'è la musica a volume altissimo. Ma tutti sono abituati a farsi i fatti propri. Una ragazza urla per la strada, ma fatica a farsi sentire. È Erika De Nardo. Sua madre Susy Cassini, ha quarantun'anni, suo fratello Gianluca undici. Sono morti ammazzati e la ragazza chiede aiuto. In casa c'è sangue dappertutto. Susy è nella cucina a pianterreno. Gianluca nel bagno al primo piano. Sono stati accoltellati molte volte. Il ragazzino ha ricevuto una cinquantina di colpi, la mamma qualcuno di meno. Lo sgocciolio dei coltelli traccia, su e giù dalla scala, il via vai degli assassini. Erika dice di essere riuscita a scappare. Di essere sfuggita al massacro. Dopo qualche minuto è arrivato anche Omar. Sta vicino alla fidanzata. La ragazza parla di due uomini. Stranieri. Albanesi. Francesco De Nardo è una persona composta. Schiva. Per il funerale fa preparare due corone di fiori. Su quella per Susy fa scrivere: "Da tuo marito e tua figlia". Su quella per Gianluca: "Da tuo padre e tua sorella". Nei sopralluoghi a casa De Nardo gli inquirenti sono impressionati da tanto sangue e assaliti dai dubbi. La versione di Erika trova pochi riscontri. Quasi nessuno.

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In una stanza con le microspie lei e Omar si raccontano sottovoce spezzoni della loro storia. La storia di due adolescenti che hanno preparato un agguato per ammazzare Susy, hanno preparato guanti, vestiti di ricambio e coltelli da cucina, hanno aspettato il suo rientro l'hanno assalita e poi hanno eliminato un piccolo testimone, Gianluca. Tutto frana. I ragazzi iniziano ad accusarsi a vicenda. Per un po' sembrano noncuranti, come se fossero estranei a quella vicenda di provincia di cui sono i brutali protagonisti. Una storia di nera che cambierà per molto tempo la prima associazione di idee che viene in mente quando si sente il nome "Novi Ligure". Non più i dolci. Non più i Campionissimi Coppi e Girardengo. Non più la stranezza di quell'aggettivo "Ligure" nel toponimo di una cittadina che sta in Piemonte.

Dal febbraio 2001 in poi, e chissà per quanto, Erika&Omar, i fidanzatini assassini. Francesco De Nardo, non appena è possibile, torna a vivere nella sua villetta nel quartiere Lodolino. Continuerà ad andare a trovare Erika nel carcere minorile. È sua figlia. È viva, al contrario di sua moglie e del suo figlio minore. E comunque l'ingegnere non è uno abituato a spiegare in pubblico cosa fa e perché. Nel dicembre 2001 la ragazza è condannata a 16 anni. Pena confermata, sempre uguale, fino in Cassazione. Omar è condannato a 14 anni, perché la "mente", come scrivono i giornali, è lei, è Erika a vedere la severità della madre come diaframma tra i suoi sedici anni e la libertà assoluta, un diaframma da lacerare a coltellate con l'aiuto del fidanzato.

Erika è rinchiusa nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino, poi al Beccaria di Milano, poi a Verziano vicino a Brescia. Intanto Mario Gugole, un ventenne che si diletta come dj tra il veronese e il mantovano, inizia un carteggio con Erika e si considera il suo nuovo fidanzato. Per una brevissima stagione le telecamere rincorrono il ragazzo, le polemiche rincorrono le telecamere. Nel 2006 Erika esce mezza giornata dal carcere per una partita di pallavolo all'oratorio di Buffalora, nel bresciano. Le scattano delle fotografie. Occhiali da sole appoggiati sulla testa, mani intrecciate a seguire il gioco con un filo di apprensione. Alcune pagine rievocative sui giornali, molte reazioni di disappunto: sono passati soltanto cinque anni. In una notte dell'autunno del 2008, la Fiat Punto di Mario Gugole, ormai dimenticato dalla stampa e forse anche da Erika, percorre la provinciale Gardesana Orientale vicino a Susano di Castel D'Ario, in provincia di Mantova. Qualcosa va storto. Quando alla mattina ripescano la macchina dal canale Molinella in cui si è capottata, trovano Gugole morto. In carcere Erika si è diplomata e ha studiato filosofia. La tesi su "Socrate e la ricerca della verità negli scritti platonici" riceve 110 e lode. Nel marzo del 2010 Omar esce di prigione. Dice che vuole cercare di dimenticare. Cercare di confondersi fra i suoi coetanei che veleggiano verso i trent'anni, magari ancora impigliati in una tardo-adolescenza e senza quella decina di anni di parentesi che è meglio non raccontare in giro. Erika intanto esce abbastanza spesso dal carcere di Verziano. Esce dal carcere e va in una comunità. Prove generali di un tentativo di iniziare di nuovo dai 26 anni, questa volta senza obiettivi fotografici. La sua pena dovrebbe estinguersi fra un anno circa, ma la buona condotta dovrebbe scorciarla. Erika probabilmente lascerà il carcere entro la fine del 2011.

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