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No ai nuovi pedaggi su autostrade e raccordi Anas. Castelli: il governo va avanti

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2011 alle ore 17:34.

No ai pedaggi sulle autostrade in gestione diretta Anas (come la Roma-Fiumicino) e in alcuni caselli vicino ai raccordi autostradali della capitale. Il Tar del Lazio ha annullato il decreto del presidente del Consiglio dei ministri che lo scorso luglio, nell'ambito della manovra finanziaria, aveva individuato le 25 tratte fra autostrade e raccordi autostradali Anas da sottoporre alla maggiorazione tariffaria forfetaria, prevista dal decreto legge 78/2010.

Castelli: il governo va avanti
Per il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, «con la sentenza di oggi, il Tar seppellisce definitivamente la volontà del Governo di introdurre i pedaggi sul Raccordo Anulare e ancora una volta dà ragione alla Provincia di Roma che si é subito opposta a questa tassa iniqua». Di parere opposto il viceministro alle Infrastrutture Roberto Castelli (Lega Nord) ha detto che «il governo va avanti. Il pronunciamento del Tar del Lazio è semplicemente la coda di una vicenda già conclusa. È veramente inconcepibile che amministratori che dovrebbero essere responsabili assumano posizioni così demagogiche. Gli stessi che si riempiono la bocca con l'Unità d'Italia difendono gli assurdi privilegi per i quali alcuni cittadini possono non pagare ciò che i restanti milioni di italiani pagano».

Il decreto viola le norme comunitarie in materia
Secondo i giudici amministrativi, il decreto non prende in considerazione l'esistenza di persone che percorrono le strade di interconnessione senza però entrare nelle autostrade, come nel caso del Grande raccordo anulare di Roma. «La sentenza rileva pienamento - sottolinea l'avvocato della provincia di Roma, Massimiliano Sieni - tutti i difetti che hanno connotato questa azione di tariffazione, che non ha tenuto conto delle norme comunitarie in materia, ma che ha anche violato per l'urgenza di fare cassa il principio di tipicità degli atti amministrativi». Per questo il Tar del Lazio ha disposto l'annullamento del decreto ministeriale con il quale il 25 giugno 2010 sono state individuate le stazioni di esazione per le quali dovevano essere applicati gli aumenti dei pedaggi a decorrere dal 1° luglio scorso. Oggi la pubblicazione delle motivazioni di 8 sentenze (su 9 ricorsi presentati) con le quali i giudici hanno accolto i ricorsi proposti dalla provincia di Roma (con l'intervento del Codacons e di 40 comuni delle province di Roma e di Rieti), ma anche dalle province di Firenze, Rieti, Ferrara e Pescara, nonchè dalla regione Toscana, dal comune di Fiano Romano che avevano fatto ricorso in relazione al proprio territorio. La sentenza su ricorso del Movimento dei cittadini interessa tutto il territorio nazionale.

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Le motivazioni del Tar
Entrando nel dettaglio i giudici amministrativi hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso secondo il quale il decreto impugnato «avrebbe individuato caselli o stazioni di esazione collocati in luoghi non direttamente o comunque non necessariamente interconnessi con tratte autostradali per le quali è stato imposto il pagamento di un pedaggio - si legge nelle sentenze - con conseguente imposizione agli automobilisti di una prestazione patrimoniale aggiuntiva che prescinderebbe dall'utilizzo in concreto del tratto viario interessato dal pedaggio». In sostanza, «non vi sarebbe la necessaria ed imprescindibile corrispondenza tra chi è tenuto al pagamento del pedaggio e quanti utilizzano le tratte di strada interessate dal provvedimento». Il Tar ha ritenuto poi fondato anche l'ulteriore motivo di ricorso con cui l'amministrazione provinciale capitolina ha dedotto che il decreto ministeriale avrebbe violato la normativa comunitaria. Il decreto impugnato - si legge nella sentenza - è stato adottato in violazione delle norme comunitarie, nonchè della norma nazionale di recepimento delle stesse, giacchè «determina forfettariamente la maggiorazione per le classi di pedaggio, a prescindere peraltro dall'effettivo uso dell'infrastruttura». Palazzo Chigi e Anas sono anche stati condannati, in parti uguali, al pagamento delle spese di giudizio.

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