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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2011 alle ore 12:08.
Già lo definiscono lo scandalo più grave nella storia dell'India, perfino più grave dell'affare Bofors, forniture di armi e tangenti: uno scandalo che nel 1989 costò al Congress Party di Rajiv Gandhi la vittoria alle elezioni. Ora al posto del figlio di Indira c'è Manmohan Singh, accusato dall'opposizione di non essere intervenuto subito: soltanto martedì mattina il primo ministro indiano ha accettato la costituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta che indagherà sulla concessione di licenze di telefonia mobile a prezzi di gran lunga inferiori a quelli di mercato.
La "svendita", nel 2008, per 2,7 "miseri" miliardi di dollari, avrebbe potuto invece fruttare alle casse dello stato da 30 a 40 miliardi. E in questi giorni i conti pubblici sono più che mai al centro dell'attenzione a Delhi: lunedì prossimo è attesa la presentazione del budget 2011/2012, la sfida per il governo è il classico gioco di equilibri tra la necessità di contenere l'inflazione e quella di incoraggiare la crescita, superiore all'8 per cento. Per non mettere a rischio i lavori del Lok Sabha, il Parlamento indiano, in una sessione cruciale, Singh si è piegato alla richiesta del Bjp, l'opposizione da tre mesi sul piede di guerra contro la corruzione. «Il governo accetta di costituire una commissione d'inchiesta congiunta», ha annunciato il primo ministro.
Non protesta solo il Bharatiya Janata Party, protestano anche i mercati. La corruzione si conferma uno dei peggiori mali dell'India, l'esecutivo di Singh fatica a governare e a seguire un programma di riforme: il malumore degli investitori si riflette sull'andamento dell'indice Sensex di Mumbai, in calo del 10% dall'inizio dell'anno, meglio solo di Egitto e Tunisia. E non è finita, perché le indagini del Central Bureau of Investigation si stanno allargando a macchia d'olio e sulla grande industria indiana si allunga l'ombra dell'intreccio di interessi con la politica.
Il primo arresto è stato quello dell'ex ministro delle Telecomunicazioni di Manmohan Singh, Andimuthu Raja, i primi nomi quelli di Swan e Unitech, due compagnie sospettate di aver beneficiato di trattamenti di favore nell'acquisto di frequenze di seconda generazione. Ma gli inquirenti stanno anche ascoltando i dirigenti di Tata o Anil Ambani, il proprietario di Reliance Communication apparso la settimana scorsa davanti agli uomini del Cbi. Tata e Reliance smentiscono ogni coinvolgimento, ma se ora entrano in gioco anche i nomi "intoccabili", può darsi che l'India stia dando alla lotta alla corruzione uno slancio nuovo. La sfida adesso è anche nelle mani della commissione bipartisan. «Siamo una democrazia funzionante - ha detto martedì Singh - e dobbiamo sforzarci di risolvere le divergenze in uno spirito di collaborazione, non di confronto. Questo, mi auguro, rinnoverà la nostra fiducia nella marcia in avanti dell'India».