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Intervista a Claudio Gentile: «Sogno di tornare nel mio paese»

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2011 alle ore 06:36.

«Stiamo seguendo la situazione con trepidazione. Siamo tutti legati alla Libia, a Tripoli. Io ci sono nato, i miei genitori ci hanno vissuto per più di trent'anni».

"Il libico", "Gheddafi": sono solo alcuni dei soprannomi che l'hanno accompagnato per tutta la vita, a testimoniare il legame indissolubile che lo unisce all'altra sponda del Mar Mediterraneo. Perché Claudio Gentile, 58 anni, non deve la sua leggenda solo alle feroci marcature con cui annullò Zico e Maradona durante i Mondiali di Spagna 1982, agli scudetti e alle coppe conquistate con la Juventus, o al titolo europeo e al bronzo ad Atene 2004 conquistato come cittì dell'Under 21 azzurra. Per tutti infatti, nel mondo del calcio, Gentile è l'Africano, perché lui a Tripoli è nato e cresciuto fino all'età di otto anni. «Vivevamo nella zona del rione di Sant'Antonio - ci racconta emozionato al telefono - ricordo ancora quei vicoli, quelle strade. Mio papà andò a Tripoli che non aveva neppure un anno, mia mamma è nata lì come me, entrambi hanno ancora amici: può immaginare cosa proviamo in queste ore».

È in quelle vie che ha cominciato a giocare a calcio?
«Certo, le classiche partitelle tra ragazzini. Erano avversari furbi e smaliziati, i bambini di Tripoli. È lì che ho imparato i primi trucchi del mestiere».

Poi il rientro in Italia. Perché?
«Lasciammo Tripoli nel 1961. Il colpo di stato di Gheddafi era ancora lontano, ma mio padre aveva intuito già che il clima per gli italiani stava cambiando. Non si sbagliava. Salito al potere il Colonnello, i nostri connazionali vennero allontanati senza tener in alcun modo in considerazione quello che avevano fatto per il paese, per la sua economia. Ricordo ancora il giorno che prendemmo la nave che ci portò in Sicilia».

È mai tornato in Libia?
«Non me ne è mai stata data la possibilità. L'ho chiesto due volte, invano. Del resto Gheddafi, una volta salito al potere, varò una legge che equiparava tutti gli italiani nati a Tripoli ai fascisti. Perciò ogni eventuale legittimazione giuridica ci è sempre stata negata. E oggi che i miei genitori sono anziani, il desiderio di riportarli a vedere i luoghi dove sono cresciuti è ancora più forte».

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Tags Correlati: Claudio Gentile | Gheddafi | Italia (squadra) | Juventus | Spagna (squadra) | Sport | Tripoli

 

Come valuta gli eventi di questi giorni?
«Stiamo assistendo alla rivolta degli scontenti, in un paese in cui mai c'è stata vera democrazia. La gente si è stancata, e in nome della libertà è disposta a morire».

In questi anni il nostro governo è stato tra i più disponibili al dialogo col regime di Gheddafi. Sorpreso da questa scelta?
«In politica si sceglie spesso il meno peggio. Credo si sia seguita questa filosofia, spinti da interessi economici, dall'esigenza di frenare i flussi migratori. Non mi sento di biasimare queste scelte».

Comunque vada a finire, anche il calcio libico dovrà ripartire. Arrivasse una chiamata, è pronto ad allenare la Nazionale di Tripoli?
«Senza dubbio. Ma solo a condizione che si possa lavorare liberamente. L'allenatore sono io, e decido giocatori, tattiche, filosofia, in piena libertà di scelta. Se si può lavorare in libertà per sviluppare progetti e idee, sono a disposizione della mia Libia».

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