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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 08:08.
Il re, "la gioia della nazione", è tornato. Il tempo di scendere dalla scaletta dell'aereo, essere salutato dalla tradizionale danza delle scimitarre e tornare a palazzo che il pacco-premio era pronto: 135 miliardi di rials, più o meno 36 miliardi di dollari da elargire ai giovani, ai più bisognosi, all'edilizia popolare, all'educazione, alla lotta all'inflazione. In totale 19 settori, compreso il finanziamento ai club sportivi.
Il ritorno a Riad di re Abdullah era previsto da tempo: a novembre era stato operato di ernia al disco negli Stati Uniti e per un uomo di 87 anni la degenza in Marocco non poteva che essere lunga. Non può tuttavia sfuggire un senso d'urgenza, e dunque di ansia, nella rapidità con la quale è stato deciso il nuovo pacchetto di aiuti sociali. Per di più inaspettato. Con il moltiplicarsi degli introiti petroliferi di questi anni, l'Arabia Saudita già da tempo aveva aumentato la sua spesa pubblica: entro i prossimi 5 anni conta d'investire qualcosa come 400 miliardi di dollari nella costruzione di quattro delle sei nuove città economiche progettate e di alcuni campus universitari.
Nel ritorno del re e nei nuovi 36 miliardi c'è una buona e una cattiva notizia per l'Arabia Saudita. Quella buona è che ci sono i soldi per soddisfare ogni insoddisfazione sociale che volesse sfociare in manifestazioni di piazza anche a Riad. Quella cattiva è che, di questi tempi così tempestosi per l'intero Medio Oriente, il primo produttore petrolifero mondiale, il cardine della stabilità del Golfo, il cuore dell'Islam e molto altro ancora, è governato da un re malato di 87 anni. Il principe ereditario Sultan, fratellastro di Abdullah, ne ha circa 85 e non sta meglio. Nemmeno il terzo in successione, il principe Nayef, di poco più giovane, ha una salute di ferro. Il tempo, sempre più pressato dagli avvenimenti regionali, spinge perché la riforma della successione già pensata alcuni anni fa, venga applicata subito dopo la scomparsa di Abdullah: che si passi cioè dalla generazione ottuagenaria dei 37 figli di Abdul Aziz, il fondatore del regno, a quella successiva di 50/60 anni.
Il problema che l'Arabia Saudita, gli alleati della regione e ancora di più quelli in Occidente ora si pongono, diventa tuttavia sempre più profondo. Possono i soldi (tantissimi), le riforme sociali che il re ha avviato da tempo, e perfino l'accelerazione generazionale fare da argine all'aria che tira nella regione?