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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2011 alle ore 15:45.
Un caccia-bombardiere Sukhoi-22 dell'aeronautica militare libica si è schiantato al suolo nei pressi di Bengasi perchè pilota e co-pilota lo hanno abbandonato e si sono paracadutati al suolo pur di non obbedire all'ordine di attaccare la città, in mano ai rivoltosi: lo riferisce sul proprio sito on-line il quotidiano filo-governativo "Quryna", che cita un anonimo colonnello in servizio presso una base aerea della zona. Questi ha raccontato al giornale che il comandante, capitano Attia Abdel Salem, e il suo secondo, Ali Omar Gaddafi, si sono rifiutati di bombardare Bengasi e hanno preferito ammutinarsi, lasciando al suo destino il caccia di fabbricazione russa.
In alcune città della Libia, che non sono più sotto il controllo del governo libico, si festeggia già la liberazione. Molti militari si sono ammutinati e diversi gruppi di cittadini scappano verso l'Egitto. Lo ha riferito all'Ansa è il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia.
La scorsa notte, invece, due navi militari libiche (una delle quali con 200 uomini a bordo) che avevano ricevuto l'ordine di bombardare Bengasi dal mare hanno disertato e si trovano ora al largo di Malta, secondo fonti militari maltesi citate dall'emittente Al Jazira. Gli uomini dell'equipaggio avrebbero gettato le loro armi in mare.
Nella nottata di ieri due piloti, che non avevano accettato di aprire il fuoco sui manifestanti, si erano rifugiati in una base aerea vicino a Bengasi, in una zona controllata dai ribelli. In precedenza due colonnelli dell'aviazione libica avevano disertato atterrando con i loro Mirage a Malta per non sparare sulla folla come era stato loro ordinato.
Serie di dimissioni anche tra gli ambasciatori libici
Sono molti anche i diplomatici che si stanno dimettendo in questi giorni di repressione perpetrato dal regime di Muammar Gheddafi, as cominciare dall'ormai ex ministro degli Interni, Fattah Younis al Abidi, passato con i ribelli. Alle Nazioni Unite il numero due della missione libica, Ibrahim Dabbashi, ha invocato un intervento internazionale contro quello che ha definito «un genocidio». Le defezioni tra il corpo diplomatico hanno fatto il giro del mondo: Usa, Francia, Cina, Regno Unito, Polonia, India, Indonesia, Svezia, secondo l'emittente araba al Jazira. Come il collega a Delhi Ali al-Essawi, sdegnato per l'uso di mercenari contro i suoi concittadini, l'ambasciatore libico in Bagladesh Ahmed Atiaal-Imam si è dimesso in segno di protesta contro il «regime» e parlato di «un massacro in atto». Diplomatici con i manifestanti anche a Malta: almeno cinque funzionari hanno abbandonato il posto di lavoro e si sono uniti a una protesta in corso fuori della missione: tra questi il primo segretario e il capo della sicurezza: «Il nostro paese chiede la libertà».