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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2011 alle ore 06:36.
Era la loro occasione: Piazza Affari in panne per una mattinata intera. Era il momento giusto per dimostrare all'Italia intera che esistono alternative alla Borsa di Milano. Eppure i listini come Chi-X, Bats o Turquoise – su cui sono quotate le principali azioni italiane – non sono riusciti ad attirare gli investitori "orfani" di Piazza Affari: sulle loro piattaforme alternative ieri mattina gli scambi su Eni, Enel e sulle altre azioni italiane erano infatti inferiori alla media. Il giorno in cui il giocatore titolare (Piazza Affari) era in panchina, le riserve non sono dunque riuscite a sostituirlo. Alla prova del nove si è scoperto che sulle azioni italiane una concorrenza vera ancora non c'è: l'obiettivo primario della direttiva Mifid, emanata proprio per spezzare il monopolio delle Borse tradizionali e per dare agli investitori prezzi più efficienti, in Italia ancora non è stato raggiunto in pieno.
Partiamo dai dati. Su Chi-X nel mese di febbraio le principali 40 azioni italiane sono state comprate e vendute per un controvalore medio giornaliero di 368 milioni di euro. Lunedì, in una giornata molto convulsa, si era arrivati a 450 milioni. Ieri fino alle 14,30 su Chi-X i volumi erano invece appena a 40 milioni di euro. Quando Piazza Affari è ripartita gli scambi sono ripresi anche sul listino alternativo, tanto che in serata risultavano scambiate azioni per 358 milioni di euro: poco sotto la media del mese. Stesso discorso per gli altri listini alternativi: Bats ha scambiato azioni italiane per 193 milioni contro i 222 medi di settimana scorsa, mentre Turquoise si è fermata a 116 milioni contro i 129 medi. Nei passati stop di Piazza Affari questi listini erano riusciti ad aumentare i volumi, ma ieri no. Insomma: non sono riusciti a presentarsi come valide alternative alla Borsa tradizionale.
Perché? Se si chiamano i broker, i listini alternativi e gli esperti di mercato si scopre che le cause possono essere molteplici. La prima – unanimemente riconosciuta – è che molti intermediari italiani non sono collegati con le piattaforme alternative: se Piazza Affari chiude per motivi tecnici, non possono dunque dirottare gli ordini su "para-Borse" attive. Per un motivo banale: non hanno il filo. «Il motivo è che in Italia la Borsa tradizionale offre già costi di transazione competitivi, per cui per gli intermediari non vale la pena di collegarsi con i listini alternativi», commenta il numero uno in Italia di IG Markets Alessandro Capuano (che invece è collegato). Esistono piattaforme tecnologiche che connettono molte banche e broker ai listini alternativi (per esempio Market Hub di Intesa Sanpaolo ha 45 gruppi italiani clienti e permette loro di andare su Chi-X), ma ancora si tratta della punta di un iceberg. Morale: la concorrenza vera ancora latita perché pochi intermediari la rendono veramente possibile.