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Quando tutto profumava d'Italia

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 08:08.

C'erano i "club", il Beach Club e l'"Underwater", il Lido; le scuole dei Fratelli Cristiani, il liceo statale Dante Alighieri in Via Lazio, la scuola elementare Regina Elena, fondata prima ancora della conquista italiana della Libia del 1911 da Giannetto Paggi. C'era il Circolo Italia, subito davanti al Uaddan uno degli alberghi più belli della città con sala da gioco, roulette e night club. C'era il lungomare e il porto. C'erano il Caffè Aurora e l'Akropol su Piazza Cattedrale, il Gambrinus su Corso Vittorio, dove c'era il passeggio e le latterie, Girus e la Triestina, frappè e granite da concorso.


In fondo al Corso c'era Piazza Italia, oggi la Green Square di Gheddafi. C'erano i commercianti, i meccanici, i salumieri, gli imprenditori, le vecchie concessioni, le tonnare, gli Schubert che avevano la birra Oea, i rappresentanti delle grandi aziende italiane, le Generali, l'Eridania. Alcune di queste società furono portate in Libia prima ancora dell'arrivo delle truppe italiane nel 1911, fra gli altri da Ernesto Labi. Poi diventò la Ditta Fresco, grandi vetrate sul mezzanino che si affacciava sul Corso. C'erano la Fiat e la Ditta Frassati che importava le Lancia e le Vespe. C'erano i cinema, l'Odeon in Via Roma, il Rex in Via Ciano, l'Alhambra, davano solo film in italiano.

Questo per dire che Tripoli prima di Gheddafi ai tempi del Re buono, Idris al Senussi, era a tutti gli effetti una città italiana. Si parlava italiano, l'atmosfera era italiana anche se la popolazione era una minoranza di 40mila persone su 300mila abitanti. La ragione è semplice, la popolazione araba viveva ancora nella città vecchia e fuori città. La città centrale, tipica città italiana costruita dal fascismo, esiste intatta, con i nomi cambiati. La Libia, popolazioni nomadi millenarie, passò dall'impero romano, alla conquista araba, all'impero ottomano, poi all'Italia. Non fu mai indipendente fino al 1951. E gli italiani restarono semplicemente nelle loro case, nei loro caffè a vivere la loro vita garantiti dalla Costituzione. C'erano anche molti stranieri, forse 20mila, molti americani, inglesi, olandesi, dopo la scoperta del petrolio del '59. E c'era la base aerea americana, la Wheelus Field, la più importante del Mediterraneo. Una cittadina nella città: si prendeva il "channel 7", trasmetteva film americani e serial televisivi: chi, come me, cresceva a Tripoli in quegli anni, gli anni 60, cresceva con The Untouchables, Bonanza e Popey, the Sailor Man. La televisione italiana si prendeva male di sera, disturbata. In quegli anni i caccia americani rombavano sul mare per le loro esercitazioni. E si sentiva in questo mondo ancora coloniale il sapore vicino dell'America lontana, appena al di là dei reticolati della Mellaha, dove c'era la base.

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L'ambiente negli anni 60, prima di Gheddafi era cosmopolita e tranquillo. Idris era monarca costituzionale. C'era un primo ministro. I libici si arricchivano con il petrolio e con le nuove regole che gli attribuivano la maggioranza di ogni società. L'arabo era obbligatorio a scuola per un'ora al giorno. Ma non lo imparava davvero nessuno. Poi la Rivoluzione, finta, perché non si sparò un colpo. Idriss era in vacanza. L'ascesa di Gheddafi, la riscrittura della storia, l'espulsione improvvisa degli italiani rimasti e l'esproprio. Un colpo di spugna. Una pagina che resta ingloriosa per la nostra Repubblica, che non fece nulla per proteggerli.

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